“Non ricordo una bora del genere. Questa notte pareva che ribaltasse la casa. Di sicuro superava i centocinquanta chilometri all’ora. Sai cosa sono centocinquanta chilometri all’ora?” “Certo che lo so, nonno. E’ quella velocità a cui si prende la multa sull’autostrada se c’è l’autovelox. Ma lo stesso papà ci prova e io ho paura, ma sto zitta …” “Sai, Arianna, anch’io, quando avevo qualche anno di meno, ci provavo. Mi è andata sempre bene, ma non si dovrebbe. Però ti dirò che una volta non c’erano i limiti di velocità e ognuno si regolava come meglio credeva. In America, invece, c’erano già quando ci andai nel 1960. Ed erano bassissimi. Figurati che sulla Masspike, ossia sulla highway che gira attorno a Boston, c’era il limite di 50 miglia all’ora, circa 80 chilometri, e c’era un traffico che non ti dico. Le macchine, i macchinoni di quella volta, stavano in fila sulle quattro corsie per parte tutti a 50 miles, tutti disciplinati come un fiume che scorre lentamente verso a foce.” “Mi pare di esserci stata con te su quel fiume, nonno. Tu mi fai vivere la tua vita come se fosse la mia. Ti voglio tanto bene, nonno …” “Arianna, i nonni sono fatti proprio per questo. Se no, ai bambini chi racconterebbe le fiabe? I genitori sono troppo occupati per farlo, lo sai bene che mamma e papà lavorano tutto il giorno. Papà fuori e la mamma fuori e poi in casa. Dove troverebbero il tempo per raccontarti le fiabe?” “Ma tu non mi racconti solo fiabe. Quelle le raccontavi quand’ero piccolina. Adesso sto per fare i quindici, sono ormai grande, vado al liceo.” “E’ per questo che ti racconto fiabe vere. Se no, mi diresti che ti annoio. Ma ero partito dalla bora di questa notte e voglio ritornarci. Una bora così non la ricordavo …” “Eh no, nonno, non me la racconti giusta, questa volta. Mi ricordo un tuo racconto di quando eri ragazzo. Me lo ricordo bene, eri a Pola che allora era italiana.” “Brava! Che memoria! Tu sei la mia memoria, Arianna mia.” “Me la ricordo bene, ma voglio che me la racconti di nuovo perché mi piace come le racconti tu le tue storie.”“Sì, era appena arrivato il 1945, la guerra sarebbe finita nella primavera, ma nessuno lo poteva sapere. Quel gennaio fu freddissimo. E non c’era il riscaldamento nelle case, come adesso. Al solo pensarci mi vengono i brividi. Sai, entravamo nel letto per dormire e ci pareva di trovarci in una buca di ghiaccio. Sento ancora quel freddo anche adesso che sono passati più di sessanta anni. Ma nessuno stava meglio. Solo una volta mi era capitato, giusto l’anno prima, di trovare una stanza, nella caserma dov’ero, con la stufa accesa. Io ero un abusivo perché la stanza era per i sottufficiali e io ero un semplice soldato. Ma mi lasciarono dormire lì, forse per compassione.
Un’altra volta riuscii a dormire in una caserma di Venezia che non aveva vetri alle finestre. Tirava un’arietta dalla finestra vicina … ma non c’era niente di meglio. E soprattutto si era al sicuro dalle bombe degli aerei perché Venezia non sarebbe stata mai bombardata. Troppo preziosa e unica perché qualcuno potesse pensare di distruggere un simile tesoro.Sto divagando. Tu volevi sapere di quella volta che a Pola mi fu affidato il compito di addestrare i soldati al tiro col mortaio. Ero poco più che un ragazzo, avevo diciannove anni e già comandavo soldati di trenta anni e più. Hai ragione, quella del mortaio fu un’esperienza unica. Faceva un freddo cane eppure avevamo stabilito che la mattina seguente saremmo andati a fare i tiri di prova. Una cosa è la teoria e un’altra la pratica. Devo confessare che non avevo mai tirato col mortaio da 81 millimetri. Un tubo lungo un metro e largo, appunto 8 centimetri e un millimetro. Sul fondo di questo tubo d’acciaio si trova una punta, una specie di chiodo che ha lo scopo di far detonare le cariche di lancio della bomba che vi si immette. Arrivata sul fondo e accese le cariche, la bomba esce dal tubo rivolto verso l’alto e vola su su nel cielo fino a che ne ha la forza. Poi scende e si infila a terra esplodendo. Le schegge della granata del mortaio sono micidiali e fanno strage dove arrivano. Anche perché una bomba che viene dall’alto arriva all’improvviso senza che uno nemmeno se ne accorga. In guerra non è come in pace, in guerra ognuno cerca di arrecare il maggior danno possibile al nemico. E’ brutta la guerra, sai, Arianna. Io spero che tu non la veda mai da vicino. Quella mattina sotto le raffiche della bora e con una temperatura ben sotto lo zero, portai i miei soldati dietro ad un muretto di campagna, sai di quelli fatti con pietre sovrapposte, come ne hai visti tantissimi sul Carso. Il tiro del mortaio è molto preciso se ci sono condizioni di tempo normali, ma col vento tutto può cambiare. Infatti il primo colpo andò fuori bersaglio e così il secondo, ma poi, imparata la lezione, il terzo fece centro. Sai qual era la mia preoccupazione maggiore? Che la bomba andasse a cadere su una delle case intorno ai bersagli che avevamo messo il giorno prima su un grande prato. Erano ben lontani dalle case, ma col vento chissà cosa poteva succedere? Andò tutto bene e il mio comandante di reggimento, venuto apposta a vedere come funzionava il tanto decantato mortaio, mi fece le sue congratulazioni.Ma devo anche dirti che fu proprio quel mortaio a salvarmi la vita quattro mesi dopo, quando se non ci fosse stato lui, sarei finito dritto dritto in una foiba del Carso. Sai cos’è una foiba?”“Nonno, certo che lo so. E’ un buco profondo nel terreno che se uno ci finisce dentro non ne viene più fuori.”“Proprio così, cara Arianna. Anche se ci fu un’eccezione. Delle migliaia di italiani ‘inboibati’ tra l’autunno del 1943 e l’estate del ’45, solo uno che io sappia riuscì a tornare fuori. Era un ufficiale come me, del mio stesso reggimento, si chiama (uso il presente perché è ancora vivo e vegeto e ci telefoniamo spesso) Graziano Udovisi. Ha raccontato la sua storia incredibile molte volte, anche in televisione. Le foibe sono in realtà dei fenomeni molto diffusi sul nostro retroterra carsico. Questo suolo è come un formaggio emmental, è pieno di buchi. La terra rossa che copre la roccia carsica ne ha riempiti alcuni e ne ha lasciti liberi degli altri. I primi sono detti ‘doline’ e ci siamo stati parecchie volte a fare pic nic, i secondi, ancora aperti, sono le malfamate foibe che furono le tombe per molti sventurati. C’è anche un ‘Giorno del ricordo’ per ricordare quei poveretti e cade il 10 febbraio di ogni anno. Uno di essi lo conobbi bene ed è perfino stato proclamato Santo l’anno scorso. Si chiamava don Francesco Bonifacio ed eravamo molto amici. Lo presero, dopo due anni dalla fine della guerra mentre tornava tranquillo in bicicletta nella sua canonica e lo fecero sparire in un luogo ancora ignoto. Delitti impuniti, ma non voglio raccontarti solo brutte storie.Torniamo alla bora di quell’anno 1945. I tiri col mortaio erano appena finiti che accadde un piccolo incidente, piccolo ma che poteva essermi letale. Un mio zio ci rimise la vita nel 1917, durante la prima guerra mondiale, per lo scoppio di un mortaio. Era proprio quello che poteva capitare a me quel giorno del gennaio 1945. Mi fu chiesto dal colonnello di provare ancora un altro lancio. La bomba fu caricata nel tubo e, invece di partire verso il cielo, causa il freddo intenso non ne volle sapere di uscirne. Attimi di incubo, ti assicuro. Diedi subito l’ordine di gettarsi a terra e di attendere che io procedessi come avevo imparato dal manuale. Mi accostai all’arma e piano piano, delicatamente, come si fa con un vaso di cristallo, la inclinai verso terra fino a che, con leggeri colpi del martello di piombo, la bomba non venne fuori come un bambino quando esce dalla pancia della sua mamma.Avevo indossato i guanti speciali di pelle e lo presi fra le mani il mio dolce fantolino, e, mentre tutti attorno applaudivano alla felice riuscita dell’operazione, lo baciai e gli dissi ‘bravo!’. Fu forse quella bomba che mi salvò mesi dopo quando ebbi un gran bisogno di lei. Vedi che anche le bombe possono avere un’anima?”“Molto bella, nonno. Adesso ti racconto io una storia, una storia vera. Poi mi darai un consiglio e io lo seguirò. Però non so come cominciare, devi aiutarmi tu.”“Immagino cosa vuoi dirmi. Vuoi dirmi che ti sei innamorata.” “Ecco che hai capito. Sì, mi sono innamorata di un ragazzo più grande di me. Ha ventidue anni e sta per finire l’università. E’ bello, bellissimo, gli voglio un bene da morire …”“E lui ti chiede la prova d’amore. Giusto?”“Sì, mi ha chiesto la prova d’amore, ma tu come lo sai?”“Tutti gli uomini la chiedono alla fidanzata che sanno essere pura come un giglio. Ho detto tutti, ma non è proprio così. Non tutti, solo quelli che non capiscono che il vero amore di un uomo per una donna si dimostra attendendo a darsi la cosiddetta prova d’amore. L’amore è la più bella cosa del mondo, ma deve essere amore vero. Amore vero è quello della madre che partorisce il suo bambino nel dolore, che lo allatta e lo accudisce ed è disposta a dare la sua vita per lui. Amore è quello di un uomo che, malgrado gli anni, è capace di accudire la moglie inferma e rinunciare ad avere una vita sua per stare vicino a colei che è stata la compagna dell’intera vita. Amore è …”“Ho capito, nonno, gli dirò che se mi ama deve saper aspettare.”“Gli dirai anche che non sarà il solo a comportarsi così. Sono tanti gli uomini che si ricordano di essere uomini e non animali. Perché, vedi Arianna, Iddio ha creato l’uomo e la donna per essere una coppia, non due esseri che vivono assieme. Essere una coppia vuol dire amarsi in ogni momento. La felicità dell’uno deve essere la felicità dell’altro, il dolore dell’uno, il dolore dell’altro. Solo così i figli cresceranno nell’amore. All’uomo Dio ha dato la cosa più bella che potesse dargli, la donna. Quando tu sarai cresciuta abbastanza per capire fino in fondo queste cose, ti ricorderai le parole del nonno e me ne sarai grata. Amare è saper attendere. Dillo al tuo ragazzo. Se vuole altro se lo cerchi pure con altre che …”“Ah no! Questo no! Con me o con nessuna!”“Come sei ingenua, piccola mia. Con le altre, se lui ti ama veramente, non ci sarà amore, ci sarà solo sesso, che è un’altra cosa. Nell’amore c’è anche quello, ma viene dopo, molto dopo …”“Nonno, queste cose non le dicono nemmeno i preti. Tu invece le racconti come fossero così naturali, così normali. Come prima mi ha raccontato della bomba che non voleva uscire dal grembo della sua mamma e quando uscì tu la baciasti come fosse un bambino appena nato.” “Sì, era un bambino appena nato e io lo ringraziavo di essere nato. Per riconoscenza quel bambino mi ha poi salvato la vita. Non ci credi anche tu, bambina mia? |