Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
Il passato che non passa
1-I muri del duce PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
sabato 12 giugno 2010

La notizia relativa alla posizione del sindaco di Livorno intorno alla lapide sui padri del comunismo, che abbiamo pubblicato ieri, mi ha fatto rivenire in mente questo pregevole libro di Ariberto Segàla "I muri del duce" (Edizioni Arca, 2001)....

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2.-4. Il podestà dava a chi accettava sulla propria casa l'iscrizione di un detto un contributo in denaro variabile a seconda della grandezza delle lettere e della lunghezza della frase e oscillante tra le 30 e le 100 lire negli anni '30.

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5. Torino, via Domossola (p. 55)...ci sarà ancora? - 6. Lavenone (Brescia) - 7. Cerrione (Biella, p. 62)

Ultimo aggiornamento ( sabato 12 giugno 2010 )
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Quella frontiera orientale così lontana dall’Italia PDF Stampa E-mail
Scritto da elena   
martedì 08 giugno 2010

Matvejevic Predrag, Quella frontiera orientale così lontana dall’Italia. Dagli Asburgo a Tito via Mussolini: a soffrirne sempre gli abitanti, in «Corriere della Sera», 6 giugno 2010, p. 15.

Il referendum sloveno sull’arbitraggio internazionale che dovrebbe decidere la disputa con la Croazia, dimostra un’altra volta come, su quel confine, non ci sia fiducia degli uni verso gli altri. Dimostra come non ci si faccia scrupolo, da una parte e dall’altra (e penso soprattutto al politico sloveno Jansa) di sfruttare un referendum per raccogliere voti personali. Prova anche come la frontiera orientale dell’Italia sia lontano da quello che desiderano gli amici dell’Italia, e gli italiani stessi. Guardando nella storia, a questa situazione ognuno può trovare le proprie ragioni. Perché questo territorio, fino al 1919 non faceva parte dello Stato croato né di quello sloveno o di quello italiano, ma dell’impero austro-ungarico. L’Italia lo ottenne dopo la prima guerra mondiale, quando si trovò dalla parte dei vincitori. E allo stesso modo, da vincitore, lo ottenne Tito, grazie ai suoi partigiani e a Churchill (non solo a Stalin). In compenso, chi ne ha sempre sofferto erano gli abitanti. Sloveni e croati sotto Mussolini, quando tanti nomi furono italianizzati, e il Duce prometteva nel discorso di Pola che «la razza barbara» sarebbe stata espulsa, perché l’Adriatico e il Golfo di Venezia appartengono solo agli italiani. E soffrirono dopo la guerra gli italiani, costretti a un esodo crudele, che ha creato nella lingua italiana anche una nuova parola: gli «esodati». Vittime due volte: della vendetta dei comunisti e per quello che hanno fatto i fascisti. Per capire come si vive in questa terra, basti questa statistica su Salvore (Savudrija), al centro della penisola di cui parliamo: un censimento del 2001 registrava che c’erano 7.690 croati, 2.360 italiani e solo 289 sloveni. Ecco che cosa sono, questi «misti Balcani».

Ultimo aggiornamento ( martedì 08 giugno 2010 )
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La guerra degli italiani. La nostra vita quotidiana tra divieti e tessuti autarchici PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
lunedì 07 giugno 2010

Antonio Carioti, Lanital, salpa e rayon. La guerra degli italiani. La nostra vita quotidiana tra divieti e tessuti autarchici, in «Corriere della Sera», 5 giugno 2010.

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Nessuno che si tenga minimamente informato può dirsi colto di sorpresa, quando nel primo pomeriggio del 10 giugno 1940, sotto un sole ormai estivo (31 gradi a Milano, 26 nella più temperata Roma), i megafoni agli angoli delle strade annunciano che «alle ore 18, dal balcone di Palazzo Venezia, Benito Mussolini parlerà al popolo italiano». In tutto il Paese, anche nei centri minori, carri radiofonici e camion di camicie nere percorrono le vie, esortando la popolazione a concentrarsi nelle piazze e davanti alle sedi del Partito nazionale fascista.La guerra è nell’aria. Gli italiani l’hanno sentita avvicinarsi man mano che i giornali si riempivano di titoloni inneggianti alla trionfale avanzata tedesca in Francia. Le scuole hanno chiuso prima del tempo, il 31 maggio, e le strade sono piene di bambini e ragazzi: molti si apprestano a partire per le colonie di villeggiatura, fiore all’occhiello del regime. Il 4 giugno il governo ha rinviato l’Esposizione universale del 1942, per la quale è stato realizzato il nuovo quartiere romano dell’Eur. Si lavora per trasferire al sicuro le più importanti opere d’arte esposte nelle gallerie: anche le grandi vetrate del Duomo di Milano sono state rimosse.Inoltre i prefetti hanno impartito direttive per lo sfollamento e l’oscuramento notturno. Severi limiti sono stati posti alla circolazione degli autoveicoli. Il carburante è stato razionato: 25 litri di benzina al mese per chi ha una moto; 50 litri per i motofurgoncini; da 100 a 150 per le automobili, dipende dalla potenza; fino a 300 litri per gli autocarri più grossi. Da 175 a 300 litri per i taxi, a seconda della grandezza della città. D’altronde ben pochi italiani possiedono un veicolo a motore, mentre circolano per la penisola sei milioni di biciclette.
Ultimo aggiornamento ( lunedì 07 giugno 2010 )
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L’Italietta intellettuale a libro paga del Duce PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
giovedì 03 giugno 2010

Paolo Mieli, Le elargizioni del Minculpop in una ricerca di Giovanni Sedita. L’imbarazzo. Tutti preferirono tacere sui loro rapporti con il potere politico. L’Italietta intellettuale a libro paga del Duce. Dalla Aleramo a Pratolini, la lista dei postulanti La lettera di Elio Vittorini Nella mia qualità di scrittore fascista, da quando ho la penna in mano, l’ho adoperata al servizio delle idee fasciste. Il rifiuto di Roberto Bracco. Il drammaturgo non accettò i soldi del regime: «La mia coscienza mi avverte che quel denaro non mi spetta», in «Corriere della Sera», 1° giugno 2010, pp. 38-39.

Da quando nel dopoguerra furono rese note le sovvenzioni del ministero per la Cultura popolare fascista agli intellettuali italiani, molto si è scritto su quelli (e furono in tanti) che si piegarono a ricevere emolumenti dal regime. Bei libri, niente affatto scandalistici, sono stati scritti - tra gli altri - da Philip V. Cannistraro, La fabbrica del consenso (Laterza), e Ruth Ben-Ghiat, La cultura fascista (Il Mulino). Altri si sono applicati al tema degli artisti e scrittori che, pur avendo accettato quella compromissione con il fascismo, cercarono successivamente di nascondere quel loro passato. È il caso de I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte 1938-1948 di Mirella Serri (Corbaccio) e di Cancellare le tracce di Pierluigi Battista (Rizzoli). Ma dagli archivi continua a uscire una sempre nuova documentazione che aggiunge particolari inediti su come avvennero quei pagamenti. Un giovane storico, Giovanni Sedita, ha studiato queste carte e ne ha tratto un libro, Gli intellettuali di Mussolini (Le Lettere), di grande interesse. Ne viene fuori che il 55 per cento dei sovvenzionati fissi agì in ambito giornalistico, il 22 per cento in quello letterario, il 9 per cento nello spettacolo, mentre il 15 per cento apparteneva ad ambiti diversi. Alla voce «altro» si trovano le categorie più disparate, dai famigliari di importanti personalità a tutti gli scienziati che sottoscrissero il Manifesto della razza o ebbero a che fare con quella vicenda (eccezion fatta per i professori Pende, Visco, Donaggio, Savorgnan e Zavattari). Perché prendevano quei soldi? Scriverà in un memoriale difensivo del 27 gennaio 1945 Giuseppe Ungaretti: «Era una sovvenzione che s’usava dare - è uso esistente in tutti i paesi del mondo - a scrittori e artisti bisognosi - e la ricevettero persone onorevolissime - perché potessero seguire con tranquillità il loro lavoro».
Ultimo aggiornamento ( giovedì 03 giugno 2010 )
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Nella Topografia del terrore nazista PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
domenica 16 maggio 2010

Gherardo Ugolini, Nella Topografia del terrore nazista. ’900 tragico. Berlino città della memoria: dov’era la Gestapo il Museo dei sistemi di repressione del Terzo Reich, in «Giornale di Brescia», 16 maggio 2010, p. 47.

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Berlino non è solo la dinamica metropoli che attrae artisti e creativi da tutto il mondo, il fulcro delle più ardite sperimentazioni architettoniche e il centro di una riuscita convivenza multiculturale. Dall’inizio del nuovo millennio la capitale tedesca ha sviluppato sempre più intensamente un’altra sua vocazione, quella di fungere da ricettacolo simbolico della memoria novecentesca europea: in primis la memoria delle due grandi catastrofi che hanno segnato il «secolo breve», nazismo e comunismo. Non c’è zona della città che non porti incise le cicatrici della storia, non c’è edificio del centro che non rievochi tragedie e dolori. Soprattutto ci sono i memoriali, a cominciare da quello dedicato ai sei milioni di ebrei vittime dell’Olocausto, l’enorme spianata di stele progettata e realizzata dall’americano Peter Eisenman accanto alla Porta di Brandeburgo, inaugurato cinque anni fa e divenuto una delle attrazioni più viste e fotografate dai turisti.

Ultimo aggiornamento ( domenica 16 maggio 2010 )
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