Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
Zamboni, il Perlasca di Salonicco PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
domenica 17 febbraio 2008

Antonio Ferrari, Oggi il presidente greco consegnerà una onorificenza ai rappresentanti di Italia e Spagna per l'impegno contro le deportazioni degli ebrei. Zamboni, il Perlasca di Salonicco. La burocrazia al servizio del Bene, in «Corriere della Sera», 4 febbraio 2008, p. 36.

 

In questi giorni dedicati alla me­moria di quell'immane tragedia che fu l'Olocausto di sei milioni di ebrei, un fiore e un pensiero van­no a Salonicco, che pagò alla barba­rie il prezzo più alto. Gli ebrei, pri­ma delle deportazioni del 1943, nel­la città greca erano 55 mila, pratica­mente la metà dell'intera popolazio­ne. Ne tornarono meno di duemila.

Quella di Salonicco è una delle pa­gine più atroci della lunga notte dell'umanità, quando la coscienza del mondo, che pur sapeva o sospettava quanto stava accadendo nei lager (lo ha confermato a Gerusalemme, recentemente, il presidente George W. Bush, dichiarando che gli ameri­cani commisero un errore a non bombardare Auschwitz), scelse il si­lenzio o una pilatesca prudenza. Ma non tutti, in quegli anni, decisero di tacere. Oggi, nel teatro più grande di Atene, il Megaro Musiki, alla presen­za del capo dello stato Karolos Papulias e del ministro degli Esteri Dora Bakoyanni, le Comunità ebraiche greche consegneranno una partico­lare onorificenza ai rappresentanti dei governi di Italia e Spagna, Moti­vando la decisione con il caldo rin­graziamento nei confronti di quanto funzionari dei due Paesi (il nostro era fascista, la Spagna franchista) fe­cero, in quel drammatico 1943, per salvare la vita degli ebrei in Grecia. L'idea è venuta alle Comunità da un libro fuori commercio, Ebrei di Salonicco-1943, i documenti dell'umanità italiana, quasi una stren­na natalizia di qualità, edito dalla no­stra ambasciata ad Atene, che ho avuto l'onore di curare assieme ad Alessandra Coppola e a lannis Chrisafis. Libro seguito da un analogo vo­lume preparato dagli spagnoli.

Senza pretese saggistiche, ci sia­mo limitati a pubblicare una parte dei documenti ministeriali ufficiali raccolti dallo studioso Daniel Carpi, recentemente scomparso a Tel Aviv, e in particolare quelli che riguarda­vano l'opera meritoria di un quasi sconosciuto eroe italiano, il console generale a Salonicco Guelfo Zambo­ni. Con coraggio, puntiglio e pigno­leria, utilizzando magistralmente i cavilli della burocrazia e aggirando le diffidenze di chi aveva voluto le leggi razziali, Zamboni riuscì a salva­re quasi 300 ebrei. Obiettivo del li­bro, che le Comunità ebraiche hanno scelto come guida per celebrare l'annuale ricorrenza della memoria, è quindi di far conoscere una nobile vicenda, che altrimenti sarebbe ri­masta sepolta in qualche archivio, fra i tanti fatti dimenticati della sto­ria. Ne ha riconosciuto il valore il presidente greco Papulias, l'hanno apprezzato tutti i nostri leader politi­ci.

Israele, nel 1992, ha consegnato a Zamboni, che aveva 95 anni, il certi­ficato di «Giusto delle nazioni», con la medaglia e un albero che porta il suo nome piantato nei giardini del­lo Yad Vashem di Gerusalemme. Le scrupolose indagini, prima del con­ferimento dell'onorificenza, sono durate decenni, come si conviene a un serio Paese che non può certo es­sere accusato di superficialità. E il ri­conoscimento è stato solennemente reiterato nel 2002 dall'ambasciatore israeliano a Roma Ehud Gol, che è andato a scoprire un cippo in onore dell'eroe italiano a Santa Sofia (Forlì), dove Zamboni era nato ed è se­polto.

Per Israele, quindi, il console ita­liano di Salonicco è un «Giusto» e un «Eroe». L'Italia lo ha scoperto tar­divamente, come fece con Giorgio Perlasca. È la dimostrazione di quan­to sia importante far conoscere que­sti capitoli sconosciuti, o forse ri­mossi. Ed è assai significativo che ad esaltarne il valore siano proprio le Comunità ebraiche, che rappre­sentano chi ha subito la barbarie di odiose persecuzioni. A dirci che la verità è quasi sempre rivoluzionaria, c'è l'esempio dello stesso Zamboni, che ai parenti non raccontò mai ciò che aveva fatto in quegli anni. E quando gliene chiedevano conto, co­me ci ha raccontato Gigi Zazzeri, uno dei pronipoti, la schiva risposta era sempre la stessa: «Ho fatto sol­tanto il mio dovere». Il dovere di sa­per ascoltare la propria coscienza. Nell'Italia di ieri e in quella di oggi, non è forse un esempio da seguire?
Ultimo aggiornamento ( domenica 17 febbraio 2008 )
 
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