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Il regime sulle pagine di «Oggi» e «Gente». Il fascismo «umano» dei rotocalchi tutto baci e lacrime PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
lunedì 14 aprile 2008

Giovanni Belardelli, Il regime sulle pagine di «Oggi» e «Gente». Il fascismo «umano» dei rotocalchi tutto baci e lacrime, in «Corriere della Sera», 7 aprile 2008, p. 26.

 

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Ancora nel 1958 un roto­calco diffusissimo come Oggi poteva intitolare una sua rievocazione del­la conquista dell'Etiopia così: «Fac­cetta nera è ancora innamorata del soldato italiano di vent'anni fa». Ma a quell'epoca poteva anche dedi­care pagine e pagine a ricordare po­sitivamente le trasvolate atlantiche di Italo Balbo, oppure a tracciare la biografia di questo o quel gerarca (magari definendolo pudicamente «uomo politico del tempo fasci­sta»). Quanto a Mussolini, a rievo­carne la figura in termini non pro­prio negativi pensarono soprattut­to le memorie (a puntate) dì donna Rachele, che mostravano fin dal ti­tolo - «Benito il mio uomo» - l'intenzione di presentare il dittato­re in una chiave privata e «umana». A rivelare quanto ampiamente e a lungo abbia circolato in Italia, dopo il 1945, una simile immagine, indul­gente e benevola, della dittatura fa­scista è ora il bel libro di una giova­ne studiosa, Cristina Baldassini, non a caso intitolato L'ombra di Mussolini (Rubbettino).

Attraverso lo spoglio di riviste a larga diffusione come Oggi e Gente ma anche di un settimanale d'elite come Il Borghese di Longanesi, di quotidiani come Il Tempo ma an­che dell'Uomo Qualunque di Gian­nini, l'autrice riesce a delineare i contorni e i caratteri di un'opinione pubblica moderata che ha lascia­to scarse tracce nella cultura «alta» del Paese, ma che presumibilmente coincideva con una porzione cospi­cua di quanti, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, votavano per la De e per i partiti alla sua destra. Questa parte di opinione pubblica - si no­ti - non rimpiangeva il fascismo, come facevano invece i nostalgici di Salò, ma ne dava tuttavia un'im­magine edulcorata. Lo considerava una dittatura, sì, ma di un tipo del tutto particolare, perché fondata so­prattutto sul consenso degli italiani e assai poco sull'impiego della vio­lenza, distinguendosi in questo dai regimi di Hitler e di Stalin. Scriveva Montanelli sul Borghese che il dramma del fascismo non era consi­stito nell'aver praticato il terrore ma semmai, paradossalmente, nel non averlo fatto abbastanza, limi­tandosi a mandare qualche opposi­tore «in vacanza balneare» (cioè al confino). Erano stati, si sosteneva spesso su queste testate, proprio i difetti del nostro carattere naziona­le - la tendenza degli italiani «a ri­durre ogni cosa a burletta e a melodramma», la «capacità di aggirare leggi e proclami» e così via - a fa­vorire la (relativa) mitezza della dit­tatura.

Come osserva giustamente l'au­trice, gli articoli che le riviste e i giornali da lei esaminati dedicaro­no al fascismo dal 1945 al 1960 con­tenevano anche osservazioni fonda­te, che poi la storiografia avrebbe confermato (il «consenso» degli ita­liani a Mussolini, ad esempio, o il carattere solo «imperfettamente to­talitario» del suo regime); ma que­ste osservazioni confluivano «in una narrazione del fascismo piena di racconti fantasiosi, carteggi d'amore, lacrime delle vedove, col­loqui d'oltretomba (con Mussoli­ni), fotografie delle amanti del du­ce, episodi dubbi e in ogni caso irri­levanti ai fini di una seria valutazione del periodo fascista».

All'immagine indulgente del fa­scismo che traspariva dagli articoli di Montanelli e di Malaparte, di Giannini e di Longanesi, oltre che dai tanti servizi di Oggi e di Gente, si accompagnava una forte ostilità nei confronti della politica dell'epu­razione attuata a partire dal 1944. Era una politica del tutto sbagliata - si sosteneva - perché appariva assurdo colpire quanti si erano compromessi con il regime, visto che fascisti erano stati più o meno tutti gli italiani. Certo, su questo co­me su altri argomenti, non tutti so­stenevano le stesse cose: la violen­ta polemica di Giannini contro l'epurazione non era la stessa di chi era disposto, almeno in linea di principio, ad accettare che si perse­guissero (ma sulla base del diritto comune, non di «leggi speciali») i reati compiuti durante il fascismo.

Fu soprattutto a causa dell'epurazione che si sviluppò, in quell'opi­nione pubblica moderata della qua­le Cristina Baldassini fissa efficace­mente i contorni, un atteggiamen­to di sospetto e spesso di avversio­ne nei confronti della nuova Italia democratica e antifascista. Riguar­do alla Resistenza, se venivano cele­brati gli episodi riconducibili all'esercito regolare - da Cefalonia, nel settembre 1943, alla partecipa­zione del ricostituito esercito italiano alla battaglia di Monte Lungo a fianco degli Alleati - si ometteva completamente di ricordare l'azio­ne dei partigiani, inficiata irrime­diabilmente, per i giornali di cui stiamo parlando e per i loro lettori, dalla partecipazione dei comunisti. Era una critica, comunque, che non tutti svolgevano nello stesso mo­do. Se il direttore di Oggi Edilio Rusconi era un critico della democra­zia solo o soprattutto nella misura in cui la giudicava troppo debole di fronte al comunismo, Leo Longane­si confessava che la parola stessa «democrazia» aveva destato in lui fin dall'inizio «un'insofferenza fisi­ca, come l'odore stantio dei vecchi cassetti», mescolandosi a «un odo­re di muffa, di umida miseria, di ca­voli lessi».
Ultimo aggiornamento ( martedì 15 aprile 2008 )
 
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