L'Italia disegnata dalla «transizione». Gli atti del convegno sulla fase di uscita dalla guerra |
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Scritto da Redazione | |
mercoledì 24 dicembre 2008 | |
Antonio M. Arrigoni, L'Italia disegnata dalla «transizione». Gli atti del convegno sulla fase di uscita dalla guerra, tra continuità e fratture, in «Giornale di Brescia», 19 novembre 2008, p. 41.
Tema fortunato quello della transizione dell'Italia che esce dal guado della morte della patria, avvenuta l'8 settembre 1943, per approdare all'agognata democrazia post 25 aprile 1945. Lo sostiene Roberto Chiarini (Università di Milano), chiamato a discuterne, con Agostino Bistarelli (La Sapienza di Roma) e Carlo Belfanti (Università di Brescia), da Mario Taccolini (Cattolica di Brescia), alla presentazione del volume che raccoglie gli atti del Convegno bresciano di pochi mesi fa, «Dopo la liberazione. L'Italia nella transizione tra la guerra e la pace», curato da Inge Botteri. Fortunato perché in un momento in cui giungono da più parti ventate di delegittimazione dell'esperienza storica della Prima Repubblica, uscita dalla guerra e dalla resistenza, è più che mai necessario tornare a riflettere sulla fase in cui quell'esperienza mise salde radici nella società.
Grandi attese di cambiamento Quando un regime politico termina, specie se in modo cruento, come per l'Italia del '45, la sensazione che hanno i protagonisti del mutamento è che tutto sia possibile e a portata di mano. Quasi nessuna rappresentanza politica coinvolta nella rinascita democratica dell'Italia, dai comunisti e socialisti, ai cattolici e liberali, fu esente dal coltivare aspettative di rinnovamento globale della società italiana. I giovani in particolare, che dell'esperienza resistenziale erano il cuore pulsante, e che avevano imparato a mettere in gioco la vita per un ideale, erano pervasi da attese palingenetiche che investivano ogni aspetto del vivere comune: dalla forma di Stato, all'economia, alle relazioni sociali e lavorative. Per molti sarebbe stato un brusco risveglio il ritorno alla realtà, specie quella che nel giro di pochi mesi, tra il '46 e il marzo del '47, vide assestarsi equilibri che sarebbero durati più meno per mezzo secolo a venire. Molti parleranno di resistenza tradita, per significare anche, ma non solo, l'assenza di volontà di un'Italia che si è riscoperta incapace, o non desiderosa, di rinnovarsi radicalmente. Un mutamento nel segno della continuità? Già l'appuntamento referendario del giugno '46, per scegliere tra repubblica e monarchia, diede - ha sottolineato Chiarini - un chiaro segnale di come l'Italia fosse spaccata ancora a metà: due milioni di voti di scarto tra l'una e l'altra opzione erano pochi per chi riteneva di interpretare la volontà di rinnovamento degli italiani. Veniva allo scoperto un'Italia reale profondamente diversa da quella interpretata nelle segreterie dei partiti politici, nati dall'esperienza del Cln. Paradigmatico di tale scenario, caratterizzato da rinnovamento e continuità, è stato il caso messo in luce da Inge Botteri, curatrice del volume. Valtrompia e Valcamonica conoscono due esiti contrapposti dell'esperienza resistenziale, la prima nel segno della conformità alle dinamiche provinciali e nazionali, di gestione del potere locale tramite i Gin; la seconda in aperta rottura con questo. Alla liberazione in tutta la Valtrompia sono i Comitati di Liberazione, quali espressione delle parti politiche, che formano le giunte comunali, e inaugurano il primato della politica partitocratica. In Valcamonica invece le Fiamme Verdi della Brigata Tito Speri, l'anima cattolica della resistenza, stabiliscono, in ogni Comune, di chiamare ad esprimersi i capifamiglia per eleggere i propri amministratori. Un recupero di forme di vita democratica e di caratteri propri di una valle che si è sviluppata in modo profondamente diverso rispetto alla sua vicina. Un metodo comunque bollato, spesso da forze di sinistra, addirittura come antidemocratico, come un sistema patriarcale in decadenza. I diversi tessuti economici e produttivi delle due valli, l'una a vocazione industriale, l'altra a vocazione agricola, possono rendere ragione delle diversità. Ma è nelle profondità della società camuna che va ricercata la spiegazione di una diversa gestione della transizione al dopoguerra. La Valcamonica per secoli si era organizzata con il sistema della vicinia, amministrazione della società civile e religiosa affidata ai capifamiglia e tramandata fino al Novecento inoltrato. A suo modo, come avvenne per altri lembi del territorio italiano, la Val Camonica gestì in proprio la sua via alla democrazia. |
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Ultimo aggiornamento ( domenica 01 febbraio 2009 ) |
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