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La vita ai tempi del totalitarismo PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
mercoledì 02 maggio 2012
«Che cosa pensava la gente che viveva sotto i regimi totalitari?». Con questa domanda semplice ma gravida di enormi questioni esistenziali e storiografiche si apre l'introduzione di Paul Corner a una raccolta di saggi da lui curata, dedicati a esplorare l'opinione popolare nei regimi totalitari del fascismo, del nazismo e del comunismo. Al fascismo, in realtà, è dedicato un unico saggio, di cui è autore il curatore del volume, mentre quattro sono i saggi dedicati al nazismo e sei al comunismo. Un unico saggio sul fascismo può sorprendere, trattandosi di un regime totalitario che è durato tredici anni più del regime nazista, e che pertanto avrebbe meritato un'analisi più approfondita e conclusioni più problematiche di quelle formulate nel saggio di Corner, se non altro perché l'esistenza di un totalitarismo fascista e la sua eredità nell'Italia postfascista è tuttora materia controversa. Così come sarebbe stato utile, una volta manifestata l'esigenza di «superare lo stereotipo del totalitarismo creatosi nella guerra fredda», spiegare al lettore che cosa gli autori del volume intendono per regime totalitario, visto che ci sono tuttora studiosi che negano persino l'esistenza del totalitarismo.
Mentre risulta troppo semplicistica la giustificazione dell'assenza nel volume del concetto di "religione politica", «assai usato – scrive Corner – nella discussione corrente sul fascismo», con l'affermazione che «oggetto dello studio sono persone comuni e non intellettuali».
Si può osservare, intanto, che il concetto di «religione politica» è stato «assai usato», e lo è tuttora, anche nella discussione sul comunismo, e molto prima che nella discussione sul fascismo; inoltre, è un concetto che non si riferisce tanto all'ideologia di alcuni intellettuali, quanto al coinvolgimento emotivo e irrazionale di molte persone comuni nella sacralizzazione della politica, che fu fenomeno comune a tutti i totalitarismi, senza distinzione di ideologia, di Paese e di continente. Avere escluso questo fenomeno dallo studio dell'opinione popolare sotto i regimi totalitari, è non solo una mutilazione della realtà storica, ma tinteggia di vago populismo razionalista lo studio "dal basso" assunta come insegna dagli autori del volume.
A parte queste osservazioni critiche, è certamente meritoria l'iniziativa di Corner nel promuovere e coordinare «uno studio intrinsecamente molto difficile». Di tale difficoltà sono consapevoli tutti gli autori del volume. Innanzi tutto perché, come osserva Sheila Fitzpatrick nel saggio sull'opinione popolare nella Russia stalinista, «il pensiero è opera di individui e non di gruppi o di classi, la cui esistenza, come entità ben coese all'interno del mondo reale, distinte nella mente dell'analista, può essere sempre messa in discussione». In secondo luogo perché, come nota Ian Kershaw nel saggio sul Terzo Reich, i resoconti sui pensieri della gente riflettono opinioni parziali, contrastanti e ondeggianti, tali da permettere «un giudizio critico che, nel distinguere modelli e fluttuazioni d'opinione, può risultare solo impressionistico».
Chiunque abbia intrapreso simili indagini, non può che concordare con queste considerazioni. Avviando, un quarto di secolo fa, una ricerca (tuttora in corso) sulle reazioni della popolazione italiana sottoposta all'esperimento totalitario fascista, osservavo che si trattava di «uno dei problemi più complessi e controversi del fascismo», data «la fluidità di un fenomeno, quale è il "consenso" in un regime totalitario. Ogni generalizzazione sarebbe fallace. Escludere la presenza del "consenso" sarebbe tanto irrealistico e illusorio quanto presumere una coralità duratura e uniforme di adesioni. Un'analisi sul "consenso" dovrebbe necessariamente articolarsi in diverse fasce, distinte per condizione sociale, per luoghi, per tempi, sesso, età, e dovrebbe procedere anche alla individuazione delle motivazioni e delle fonti principali del "consenso" (il mito di Mussolini, l'immagine del fascismo, l'azione del partito eccetera)». (E.Gentile, La via italiana al totalitarismo, Carocci, Roma 2008, pag. 205). Nel 1991, Simona Colarizi, autrice della prima indagine sistematica sull'opinione degli italiani sotto il regime fascista, a proposito dell'attendibilità della documentazione fascista, osservava che «i risultati diventano più attendibili proporzionalmente alla quantità di materiale analizzato e alla vastità dell'arco temporale preso in considerazione. Non basta servirsi di qualche rapporto informativo, estratto qua e là dalle centinaia di fascicoli a disposizione, per verificare una tesi: con la stessa mancanza di sistematicità, si possono reperire casualmente altri documenti, di segno diametralmente opposto, per smentirla». (S.Colarizi, L'opinione degli italiani sotto il regime 1929-1943, Laterza, Bari 1991). Ora, dieci anni dopo, Corner ribadisce: «Le relazioni della polizia sono dunque fonti da usare con la dovuta cautela, e, di fatto, solo l'esperienza dello studioso rende possibile giudicarne il livello di veridicità».
Pur con tutte le cautele, le indagini sull'opinione popolare sotto i regimi totalitari sono utili. Per esempio, a valutare quanto sia stato simile il declino del consenso popolare nel regime nazista e nel regime fascista fra il 1938 e il 1942, tanto da rendere discutibile o l'affermazione di Corner che «il fascismo riuscì a imporsi sul modo di essere della popolazione con molto meno successo del nazismo» o l'affermazione di Kershaw secondo il quale sotto una «verniciatura di consenso», «le realtà quotidiane del Terzo Reich rivelavano una società che smentiva l'immagine propagandata di una "comunità nazionale" unita». Probabilmente gli studi sull'opinione popolare non ci diranno mai con certezza che cosa pensava la gente, ma possono far capire meglio come i governanti totalitari reagivano "dall'alto" a quel che loro ritenevano fosse l'opinione "dal basso" dei governati. E non sempre la reazione "dall'alto" fu la ricerca del consenso, rinunciando agli effetti impopolari dell'esperimento totalitario, che in Italia fu addirittura intensificato volutamente da Mussolini quanto più risultava impopolare. Occorre però ricordare che né il regime fascista né il regime nazista crollarono per effetto dell'opinione popolare. E forse neppure i regimi comunisti.

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Emilio Gentile, La vita ai tempi del totalitarismo, in «Il Sole 24 Ore», 22 aprile 2012, p. 28. 
 
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