Milano ai tempi del Duce |
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Scritto da Redazione | |
domenica 11 dicembre 2016 | |
Bilanci. Benedetto Croce non credeva alla «veridicità dei bilanci dello Stato», perché «il Fascismo è una grande organizzazione di affaristi. Tutti pensano a rimpinguare le tasche e, quando si farà la storia di questi tempi, quello che uscirà fuori farà rabbrividire». Rossi. Roberto Rossi, braccio destro del segretario federale del Partito fascista lombardo Mario Giampaoli, capo ufficio stampa del Pnf, fu prima ladro e rapinatore. Tra il 1919 e il 1920 era già inserito nel giro della mala cittadina, aveva compiuto diverse rapine e per una, ai danni di un gioielliere – 150.000 lire di bottino – era stato anche arrestato. Specializzato in furti di stoffe cravatte, che rubava di giorno, per poi passarle ai genitori, che di notte le tagliavano e le passavano a dei complici per le rifiniture. Conobbe Giampaoli sui tavoli da gioco, gli prestò dei soldi, se lo fece amico, e iniziò così la sua ascesa ai vertici del partito. Belloni. Ernesto Belloni, podestà di Milano, accusato dai nemici di essere un «pessimo amministratore» e di far eseguire lavori non necessari al solo scopo di incassare tangenti, con «sperperi paurosi». Deficit. Deficit accumulato dal Comune di Milano sotto la gestione di Belloni: un miliardo e 150 milioni di lire. Protettore. Dietro a Giampaoli e al suo gruppo di potere, il fratello di Mussolini, Arnaldo, protettore e occulto burattinaio. Farinacci. Roberto Farinacci, gerarca fascista, in lotta con il gruppo di Giampaoli, che denuncia costantemente inviando lettere anonime al Duce, temuto da Mussolini perché forse in possesso della valigetta di Giacomo Matteotti, scomparsa dopo il suo omicidio, vorrebbe spodestare il Duce.
Personaggi. Tra i personaggi indagati intorno al Giampaoli: il vicefederale milanese Italo Rognoni si occupava di intermediazioni per conto di un usuraio «per far dare e togliere confino e ammonizioni a pregiudicati», a seconda se pagavano o meno, naturalmente guadagnandoci sopra. Enrico Carozzi, «un signorotto di Monza», aveva corrotto l’intera Milizia di quella città e se ne serviva per costringere i mariti, con la minaccia di inviarli al confino, a separarsi dalle loro avvenenti mogli. E un altro miliziano, il capitano milanese Giovanni Ciniselli, che probabilmente in vita sua non aveva mai lavorato, «si è sempre fatto mantenere dalle donne». A causa sua, «una donna fu uccisa dal marito». C’è poi un ex agente di polizia, un certo Cavalieri, che «impunemente, da vari anni, esercita il commercio dei passaporti e d’altro». E «non si capisce perché goda di libertà». ---- Milano ai tempi del Duce, di Giorgio dell’Arti, in «Il Sole 24 Ore», 4 dicembre 2016, p. 32.
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Ultimo aggiornamento ( sabato 17 dicembre 2016 ) |
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