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sabato 14 febbraio 2015 |
Case interamente distrutte: 203; case molto distrutte: 220; case con danni gravi: 376; case con danni lievi: 2.784. Altre 6.200 case ebbero solo i vetri rotti. Così si presentava Milano la mattina del 15 febbraio del 1943 all'indomani di uno dei bombardamenti, ad opera degli americani, più pesanti tra quelli che colpirono la città durante la Seconda guerra mondiale. Il bollettino di guerra registrava, purtroppo, anche un tragico e pesante bilancio di vite: l’attacco aereo fece 133 morti e più di 440 feriti. Le immagini della città devastata dalle bombe scorrono come una pellicola neorealista nel volume «Milano 1940 -1945. Ann minga de desmentega» a cura di Maurizio e Achille Maiotti, appena uscito da Il Castello (pp. 128, euro 34,50; bilingue italiano e inglese). |
Ultimo aggiornamento ( giovedì 19 febbraio 2015 )
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sabato 14 febbraio 2015 |
Sergio Romano nella sua rubrica sul Corriere della Sera, a proposito degli intellettuali italiani durante il fascismo consiglia “la lettura del libro di Mirella Serri (Gli intellettuali che vissero due volte) pubblicato dalle edizioni Corbaccio dieci anni fa. È uno spaccato della vita intellettuale italiana nel corso di un decennio, dal 1938, l’anno dell’accordo di Monaco che regalò a Mussolini un grande consenso, e il 1948, l’anno delle prime elezioni politiche e del duello fra la Democrazia cristiana e il Fronte democratico popolare, un’alleanza dei socialisti di Pietro Nenni con i comunisti di Palmiro Togliatti. |
Ultimo aggiornamento ( lunedì 16 febbraio 2015 )
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sabato 14 febbraio 2015 |
Emilio Gin, sul fascicolo III 2014 di «Nuova Rivista Storica», in un saggio scritto in inglese, riprende e approfondisce un tema già affrontato nel libro L’ora segnata dal destino. Gli Alleati e Mussolini da Monaco all’intervento (Edizioni Nuova Cultura, 2012). Lo storico dell’Università di Salerno, nel lungo articolo intitolato Speak of War and Prepare for Peace: Rome June 1940 («Parlare di guerra e prepararsi per la pace: Roma 10 giugno 1940»), si concentra, anche sulla base di nuove acquisizioni, sul periodo della «non belligeranza». Quell’arco di tempo che va dal 1° settembre 1939, quando la Germania invade la Polonia, all’entrata in guerra dell’Italia. Poco più di nove mesi in cui, può suonare strano ai non specialisti, l’orientamento prevalente nel nostro Paese fu quello della neutralità. Sono noti i sentimenti antitedeschi di Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e ministro degli Esteri, le resistenze della monarchia a lanciarsi in un conflitto e le prudenze dei vertici militari, ben consapevoli dell’impreparazione e della mancanza di mezzi. |
Ultimo aggiornamento ( domenica 15 febbraio 2015 )
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lunedì 12 gennaio 2015 |
Scriveva a metà degli anni Cinquanta lo storico tedesco dell'arte Werner Hoftmann: «Il totalitarismo è una denominazione comune sotto cui vengono a trovarsi in stretta vicinanza forme apparentemente opposte, come il bolscevismo della fase leninista-stalinista, il fascismo di Mussolini e il nazionalsocialismo di Hitler. La più evidente e sorprendente dimostrazione di questo loro intimo accordo, diretto contro la libertà umana, è proprio il fatto che quelle tre forme produssero la stessa concezione artistica. Lo stile artistico ufficiale dei Paesi totalitari è ovunque il medesimo». Si era allora nella Guerra fredda, e il termine «totalitarismo» era usato soprattutto nella polemica anticomunista per identificare la Russia sovietica con la Germania nazista. Gli studiosi che non condividevano quella polemica o militavano nel comunismo, negavano qualsiasi affinità fra i due regimi, e taluni arrivarono fino a proporre la messa al bando del termine «totalitarismo» perché privo di validità storica e scientifica. Qualcosa di analogo avveniva nella storia dell'arte, dove tuttavia era più difficile negare le affinità estetiche fra i tre regimi, dove predominò il realismo e il monumentalismo classicheggiante per rappresentare la loro visione del mondo. |
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martedì 05 agosto 2014 |
Settembre 1944. Mussolini è nel suo ufficio in una villa sul lago di Garda, con la divisa nera della milizia fascista, senza gradi né decorazioni: «l'uomo di Palazzo Venezia, relegato in un borgo manzoniano di rari villeggianti e sonnolenti pescatori, ha perso l'orgoglio». Davanti a lui Vincenzo Costa, il federale di Milano, ufficiale degli alpini (uno dei pochi che sono tornati dalla Russia e che, nella resa dei conti dell'aprile 1945, si salveranno), trova il duce invecchiato e incupito: «la barba della sera gli disegna sul volto un'ombra densa a romperne il pallore». Costa descrive con poche parole la reale situazione di Milano dopo i bombardamenti: fame e malcontento. |
Ultimo aggiornamento ( mercoledì 06 agosto 2014 )
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