Piero Ostellino, Il dispotismo democratico nel Pd, in «Corriere della Sera», 16 febbraio 2008, p. 44.
Venerdì della scorsa settimana, il mio amato direttore ha scritto che la decisione di Walter Veltroni di correre da solo alle prossime elezioni affranca il Pd - sia pure con molto ritardo rispetto alle sinistre riformiste europee - dalla sudditanza nei confronti della sinistra massimalista. lo, però, non sono altrettanto certo che alla decisione di correre da solo corrisponderà meccanicamente l'approdo del Pd al riformismo liberale.
Il fatto che il Pd corra da solo è un positivo, e necessario, passo avanti nella semplificazione del quadro politico, ma non è ancora sufficiente a fame un partito nuovo. Né l'accordo con l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, il giustizialista partito delle Procure, e il via libera di Veltroni alle intercettazioni telefoniche senza limiti - purché non finiscano sui giornali mi paiono segnali incoraggianti. Anzi. II Pd farà mai una seria riforma del sistema giudiziario? Per 20 anni, l’Italia è stata fascista; per 50, ha avuto il più grande Partito comunista dell'Occidente; negli ultimi 16, è stata giustizialista. Il pensiero totalitario domina la scena nazionale da 86 anni. Ora, sono nati, a sinistra col Pd e a destra col Pdl, due nuovi contenitori. Ma cosa c'è dentro?
Il richiamo, nel «Manifesto dei valori» del Pd, all'antifascismo «al singolare» come valore fondante della Repubblica non mi pare incoraggi all'ottimismo sulla sua vocazione riformista. In realtà, non c'è stata una sola Resistenza antifascista, ma ce ne sono state due. Una, totalitaria - che aveva con me modello l'Unione Sovietica - l'altra democratica. La Repubblica è il frutto bacato del compromesso fra le due Resistenze. Se il Pd non dissipa questo equivoco non va lontano e non contribuisce a fare dell’Italia un paese pienamente inserito nell'Occidente liberal-democratico. E il centrodestra, per parte sua, non ha proprio nulla da dire in proposito? Capisco chi è contrario alla riforma della Costituzione in nome di principi - come il solidarismo cattolico – che non sono i miei e perché teme di mettere nelle mani dell'attuale screditata classe politica la riscrittura della Carta. È un timore legittimo. Ma che potrebbe essere superato da un accordo «costituente» fra centrodestra e centrosinistra. Diffido di chi, con l'«intoccabilità» della Costituzione, perpetua l'equivoco del 1948, giustificabile nelle condizioni storiche di allora, ma che impedisce ora la modernizzazione del Paese. L'Ordinamento giuridico e la sua stessa interpretazione da parte della Corte costituzionale sono cosa troppo delicata per lasciarli ancora legati all'ambiguo compromesso raggiunto sessant'anni fa. Le numerose condanne dell'Italia, da parte della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, non dicono proprio niente a chi, a sinistra, si professa liberale, a destra, liberale? Forse, è venuto il momento di lanciare una «moratoria del dispotismo democratico».
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