Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
Il dispotismo democratico nel Pd PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
domenica 17 febbraio 2008

Piero Ostellino, Il dispotismo democratico nel Pd, in «Corriere della Sera», 16 febbraio 2008, p. 44.

 

Venerdì della scorsa settimana, il mio amato direttore ha scritto che la decisione di Walter Veltroni di correre da solo alle prossime elezioni affranca il Pd - sia pure con mol­to ritardo rispetto alle sinistre riformiste europee - dalla sudditanza nei confronti della sini­stra massimalista. lo, però, non sono altrettanto certo che alla decisione di correre da solo corrisponderà meccanicamente l'approdo del Pd al riformismo libe­rale.

Il fatto che il Pd corra da solo è un positivo, e necessario, passo avanti nella semplificazione del qua­dro politico, ma non è ancora sufficiente a fame un partito nuovo. Né l'accordo con l’Italia dei valori di An­tonio Di Pietro, il giustizialista partito delle Procure, e il via libera di Veltroni alle intercettazioni telefoniche senza limiti - purché non finiscano sui giornali ­mi paiono segnali incoraggianti. Anzi. II Pd farà mai una seria riforma del sistema giudiziario? Per 20 anni, l’Italia è stata fascista; per 50, ha avuto il più grande Partito comunista dell'Occidente; negli ultimi 16, è sta­ta giustizialista. Il pensiero totalitario domina la scena nazionale da 86 anni. Ora, sono nati, a sinistra col Pd e a destra col Pdl, due nuovi contenitori. Ma cosa c'è dentro?

Il richiamo, nel «Manifesto dei valori» del Pd, all'antifascismo «al singolare» come valore fondante del­la Repubblica non mi pa­re incoraggi all'ottimismo sulla sua vocazione riformista. In realtà, non c'è stata una sola Resi­stenza antifascista, ma ce ne sono state due. Una, to­talitaria - che aveva con me modello l'Unione So­vietica - l'altra democra­tica. La Repubblica è il frutto bacato del compro­messo fra le due Resistenze. Se il Pd non dissipa que­sto equivoco non va lontano e non contribuisce a fare dell’Italia un paese pienamente inserito nell'Occiden­te liberal-democratico. E il centrodestra, per parte sua, non ha proprio nulla da dire in proposito?

Capisco chi è contrario alla riforma della Costituzio­ne in nome di principi - come il solidarismo cattoli­co – che non sono i miei e perché teme di mettere nelle mani dell'attuale screditata classe politica la ri­scrittura della Carta. È un timore legittimo. Ma che potrebbe essere superato da un accordo «costituen­te» fra centrodestra e centrosinistra. Diffido di chi, con l'«intoccabilità» della Costituzione, perpetua l'equivoco del 1948, giustificabile nelle condizioni sto­riche di allora, ma che impedisce ora la modernizza­zione del Paese. L'Ordinamento giuridico e la sua stes­sa interpretazione da parte della Corte costituzionale sono cosa troppo delicata per lasciarli ancora legati all'ambiguo compromesso raggiunto sessant'anni fa. Le numerose condanne dell'Italia, da parte della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, non dicono pro­prio niente a chi, a sinistra, si professa liberale, a de­stra, liberale? Forse, è venuto il momento di lanciare una «moratoria del dispotismo democratico». Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo
Ultimo aggiornamento ( domenica 17 febbraio 2008 )
 
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