Dai ricordi di Claudio, reduce della Scuola Allievi Ufficiali Gnr di Modena: Valsassina, 1944
Scritto da La Redazione   
domenica 02 gennaio 2011
“Chi ti dice che domani farà bel tempo? Io penso che pioverà come tutti i santi giorni da un mese a questa parte, da quando abbiamo cominciato questo maledetto rastrellamento …”         La frase gli si era spenta in gola e tutta la camerata era balzata in piedi di scatto. Tutti alla finestra a vedere cosa succedeva. Un altro lampo, un altro tuono, erano i ribelli che si facevano sotto come per dire “credevate di averci presi in trappola, eh? E invece siamo noi che stiamo per farvi la festa, cari ragazzi …”            Le bombe di mortaio cadute sui tetti delle case di fronte al presidio furono tre, poi tutto tornò normale. Ma alle quattro suonò la sveglia per il plotone di cui Remo faceva parte. Si doveva partire portando con sé soltanto una pagnotta e una scatoletta di carne. E naturalmente il moschetto e le munizioni per il fucile mitragliatore che Remo aveva sempre in dotazione. Le povere spalle erano ormai una sola piaga, ma c’era chi stava molto peggio con il treppiede della mitragliatrice da portare su e giù per la valle di giorno e talvolta anche di notte.         Sbuffando i ragazzi si alzarono dai pagliericci ridotti a semplici covi di pidocchi e la marcia cominciò nel buio della notte.         Scendere, salire, ancora scendere, di nuovo salire … la valle era lunga e stretta e per non essere notati bisognava continuamente cambiare versante. O almeno così aveva deciso il tenente che comandava il plotone. Era il tenente Brunetto, Brunetto di nome e di carnagione. Omen nomen, tutto un nervo, uno scatto, una molla che si proietta verso il bersaglio.         Come Dio volle alle prime luci del giorno erano arrivati sulla cima del crinale e di pioggia non se n’era vista una goccia. Si fermarono finalmente a prendere fiato.         “A terra, ragazzi, adesso potete riposare per mezz’ora. Ve lo siete meritato. Non credevo di arrivare qui prima delle otto e invece sono appena le sette e mezzo. Bravi, bravi sul serio.”         Era la prima volta che il terribile Brunetto si esprimeva così. Non si sa cosa gli capitava.         “Hai visto tu che predicavi la pioggia? Hai visto che non ne è caduta neppure una goccia?”         “Aspetta, aspetta, con quel cielo a pecorelle che c’era ieri sera vedrai che catinelle verranno giù. Non lo conosci il detto ‘cielo a pecorelle, pioggia a catinelle’? Non l’hai mai sentito?”         “Intanto adesso non piove …”         “Sì, ma vedrai se fra poco non pioverà …” “Ragazzi, smettetela e riposatevi piuttosto che poi si riprende la  marcia.”La marcia riprese e il plotone si mosse lungo il crinale. Procedevano quatti quatti come gatti stando attenti a non scivolare giù da una parte o dall’altra del crinale. C’era un sentiero appena accennato, un sentiero da bracconieri, un sentiero da capre. Ma le capre hanno quattro zampe e loro ne avevano solo due per reggersi in equilibrio. Silenzio e attenti a non provocare cadute di pietre che avrebbero messo in allarme il nemico. Un nemico che nessuno sapeva dove fosse, ma di certo c’era da qualche dannata parte. Si diceva che fosse una banda di disertori mongoli, gente pericolosissima, addestratissima, irriducibile, votata alla morte. Altro che loro ch’erano appena usciti dalle loro famiglie per bene in cui una sola parola fuori posto voleva dire a letto senza cena.Finalmente furono sul punto più alto della valle. C’era un po’ di neve lassù e tirava un venticello da brivido. Da lì si poteva vedere la vallata adiacente. “Tutti a terra!” ordinò il tenente. “Guai se ci vedono. La sorpresa verrebbe a mancare.”Si accucciarono e aguzzarono la vista sulle balze che stavano sotto a loro. Un cinquecento metri di sotto c’erano i falò accesi dei mongoli. “Ma non possiamo mica attaccare. Siamo in vantaggio come quota, ma molto inferiori di numero. Però l’importante è che li abbiamo individuati. Dovremo chiamare rinforzi almeno un altro plotone, meglio se due con armi pesanti. Ci vorrebbe anche un 81, il mortaio che da solo fa la parte di tre plotoni. Chi va al presidio ad avvertire il comandante?”Si alzarono in dieci. “Andrai tu, Remo, che sei il più magro. E poi dalle tue parti siete abituati a correre su e giù per le montagne, vero?”“Sì, signor tenente! Ma la cassetta di munizioni la lascio qui, vero?”Remo si precipitò giù per il declivio senza badare ai sassi che urtava. Oramai non c’era più il pericolo di farsi scoprire. Il nemico era oltre il crinale.Per fare prima imboccò una valletta laterale che di certo lo avrebbe portato al presidio in meno tempo. Ma si era dimenticato del detto che lui stesso aveva insegnato ai suoi amici. Un tuono e un lampo lo sorpresero mentre balzava su un masso messo di traverso sul sentiero. Poi scoppiò il diluvio. Il diluvio universale che in quella stretta gora in cui si era cacciato credendo di far bene si incanalava come in un imbuto. L’acqua veniva giù a secchiate e neppure il telo mimetico che aveva addosso riusciva a proteggerlo da quell’uragano. Chi non ha provato la violenza dell’acqua in montagna non può immaginare cosa sia un temporale ad alta quota. Sono nuvole che si scaricano dell’acqua che contengono e la versano a piene mani sul malcapitato che si trova sotto.Remo vide apparire tra la pioggia scrosciante un’ombra. Era un miraggio? No, era una baita di pietra. Attraversare il viottolo che stava costeggiando fu un serio problema. Dieci minuti prima sarebbe stato uno scherzo, due passi e opplà, ma adesso era diventato un fiume e bisognava entrarci per passarlo. Pazienza, vi si immerse e in un paio di falcate fu sulla riva opposta. Però così gli pareva di camminare nell’acqua, l’acqua che aveva negli scarponi, appunto. Raggiunse la baita incredulo di tanta fortuna. La porta era socchiusa. L’aprì del tutto ed entrò. Finalmente era al riparo. Si tolse il telo grondante e gli scarponi pieni di acqua. Appoggiò il moschetto al muro e si guardò intorno. Era molto buio causa la pioggia eppure erano solo le nove di mattina o poco più. Pareva notte, invece. In un angolo scorse una specie di contenitore fatto di tavole e riempito di rami e di foglie secche. Pensò subito di potercisi sdraiare e riposare fino a che la pioggia non fosse cessata. Si tolse la giubba e calò i pantaloni ch’erano anch’essi completamente fradici. Rimase così in mutande, anch’esse bagnate, e gli venne da ridere, ridere di sé stesso. Cosa era rimasto di quel baldo giovanotto andato in guerra per combattere e ridotto in quello stato pietoso da un semplice temporale? Che vergogna! Tremava tutto. Vide una vecchia coperta militare buttata di traverso e la afferrò per il bordo sfilacciato.  Si stese sulle foglie secche, si tirò addosso la coperta e chiuse gli occhi. “Buona notte, Remo” si augurò e pensò alla mamma che lo aspettava laggiù nella natia Romagna.“Alto là!”Riaprì gli occhi e, dalla poca luce che filtrava da una finestrella, la vide. Gli stava di fronte a gambe larghe con un sorriso di scherno che era una provocazione. Era una ragazzina bruna, giovanissima, avrà avuto un sedici anni o qualcosa di più. Una bustina militare in testa con su la stella rossa. Gli puntava contro il suo fucile, il fucile che lui aveva abbandonato senza pensarci su e adesso gli veniva rivolto contro. Bel soldato era! E ben gli stava che una bambinetta lo minacciasse con la sua stessa arma. Ma capì che non avrebbe rischiato nulla con quella terribile nemica. Non avrebbe avuto il coraggio di sparargli. Altrimenti l’avrebbe già fatto senza neppure svegliarlo. “Chi sei? Da dove spunti? Sei una partigiana?”“Hai una bella fortuna che non ho mai sparato e non lo farò neanche adesso. Non voglio avere un morto sulla coscienza. Sono solo una staffetta partigiana, non una combattente. Ma a te non so come trattarti. E poi sei in  mutande. Sei ridicolo e non so come trattarti. Quello era il mio letto e me l’hai preso tu. Dovrei spararti e smetterla di parlare. Ma non ho mai sparato, capisci?”“Io a te non ti avrei mai sparato. Sei troppo giovane e bella per morire. E poi perché dovrei ucciderti che non ho mai ucciso nessuno? Neanche un gatto ho ammazzato in vita mia. Solo le mosche quando mi danno fastidio, ma sono mosche. Insomma noi due dovremmo odiarci solo perché siamo di parti diverse?”“Non mi sembri un ragazzo cattivo. Cosa facevi da borghese? Io ero al servizio di una famiglia in città, come bambinaia. Mi piacciono i bambini, sai?”“Ero maestro elementare in un collegio di preti. Ma io non sono un prete. Vieni qui che ci scaldiamo un po’. Non hai freddo anche tu? Io ho i brividi per tutto il corpo.”Continuò a piovere per ore ed ore. Pareva che il diluvio non dovesse cessare mai.   
Ultimo aggiornamento ( giovedì 06 gennaio 2011 )