"Mangiare banane" di Dossena
Scritto da Redazione   
domenica 04 novembre 2007

Giampaolo Dossena, Mangiare banane, il Mulino, Bologna, pagg. 112. 

Antonio Ghirelli, Banane, cibo da ricchi. I ricordi controvoglia di Giampaolo Dossena. Con aspra ironia racconta un’infanzia tra chiesa e casa del fascio. La vecchia zia brandiva il parasole come un manganello,

in «Il Sole-24 Ore», 4 novembre 2007, p. 36. 

Apprezzato scrittore di co­se sportive e soprattutto insuperabile esperto di giochi, Giampaolo Dosse­na dimostra con questo li­bro dal bizzarro titolo (Mangiare ba­nane) che lo sport e i giochi non sono poi passatempi così allegri se hanno ispirato al loro analista una serie di ri­cordi divertentissimi per il lettore ma intrisi, nell'autore, di amaro umori­smo. Si può aversene un'idea comin­ciando proprio dal titolo del libro, per­ché Dossena racconta che mangiare banane, dopo la conquista dell'Impe­ro di Etiopia, era un atto patriottico, dal quale erano esclusi però i poveri per ragioni di reddito e gli antifascisti per motivi politici.      Beninteso, i ricordi della famigerata Era non sono, per Dossena, né nostalgi­ci né resistenziali. Il gusto del libro sta proprio in questo aspro umorismo con il quale lo scrittore ricorda la sua infan­zia, divisa tra la Casa del Fascio e la par­rocchia. L'episodio più esilarante di quel periodo riguarda in effetti la figu­ra di una zia del ragazzo Giampaolo, che era per metà fascista e per metà cat­tolica, tanto che un giorno, ascoltando un tale che usciva in una sonora be­stemmia, l'esemplare vegliarda lo percosse due volte, usando il parasole co­me un manganello, per punire a un tem­po il peccato religioso e il reato politico («il cittadino civile non sputa in terra e non bestemmia» era uno di quei cartel­li per cui andava famosa la propaganda del Duce e di cui Dossena cita, in un al­tro frammento e confessando la sugge­stione che gli comunicavano quando era ragazzo, non poche varianti tutte modulate sulle imprese guerresche e sugli stimolanti motti di Mussolini).Talvolta l'aspro umorismo dell'au­tore si trasforma in una pura maligni­tà, quando per esempio ricorda che molti patrioti si scandalizzavano per la contaminazione realizzata da Di­sney tra i pupazzi americani di Fanta­sia e la Danza delle ore di Ponchielli, tratta come si sa da quella Gioconda che consideravano come un vanto na­zionale. E Dossena conclude perfida­mente di aver tenuto nascosto a quei "nostalgici" che «Walt Disney ebbe a suo tempo simpatie per il nazismo». La malignità diventa, qualche volta, umor nero, come nella rievocazione dei grembiuli che un tempo, a scuola erano obbligatori per maschi e femmi­ne, dove confessa che alcuni bambini gli paiono «precocemente antipatici» e ribadisce un suo antico convinci­mento: «Che la scuola tenda a istupidi­re i cuccioli dell'homo sapiens». E par­lando del peso "bestiale" dei libri di scuola che oggi si usa rimorchiare con uno zainetto, sostiene che «le autorità di queste cose non si occupano» per­ché «pensano solo a tutelare i loschi interessi degli editori». Un qualche entusiasmo, Dossena lo manifesta per Hemingway, per le sue avventure e per qualche suo libro co­me Fiesta e Verdi colline d'Africa, ma non può fare a meno di ricordare che si rifiutò di partecipare a un «rito fune­bre» che in onore dello scrittore ameri­cano celebrarono in casa Fernanda Pi­vano e suo marito. E nel testo successi­vo, arriva a scrivere che bisognerebbe eliminare «ricordi vergognosi», anzi che «non bisognerebbe più leggere niente», per concludere che «forse non bisognerebbe vivere»; ma poi questo pessimismo non è tutto autentico se è vero che a un certo punto confessa che, da piccolo, gli sarebbe piaciuto «non es­sere un bravo bambino, bensì assomi­gliare a Pinocchio, a Gian Burrasca, a Tom Sawyer»: confessa, insomma, il suo vitalissimo non-conformismo. Mangiare banane è dominato, come avrebbe detto Ungaretti, dal sentimen­to del tempo, ma in Dossena non c'è om­bra di retorica o di sentimentalismo. Uno degli ultimi capitoli di questo suo libro è dedicato, per dirne una, ai diari, un argomento che si sarebbe prestato splendidamente a una serie di variazio­ni rapsodiche mail vecchio giocoliere, dopo aver confrontato i magistrali do­cumenti stranieri di un Pepys e di un Arniel con i pochissimi esemplari italia­ni del passato, da Ippolito Nievo al Tommaseo, conclude beffardamente che adesso tiene anche lui una specie di diario, «con l'orario per le pillole e i ce­rotti... A tratti, un blando lassativo? due volte al dì mi provo la pressione. È bello prenderle da solo le medicine, al tavolo di cucina, anziché riceverle da un'infer­miera in un letto d'ospedale». Un tipo che invecchia così non è sol­tanto uno scrittore di qualità, è anche e soprattutto un uomo di spirito.

Ultimo aggiornamento ( domenica 04 novembre 2007 )