Il libro di Giampaolo Pansa. Chi censura il Novecento
Scritto da Redazione   
domenica 07 ottobre 2007

Dino Messina 

Elzeviro. Il libro di Giampaolo Pansa

Chi censura il Novecento 

In «Corriere della Sera», 7 ottobre 2007, 39.  

I sequestrati veniva­no portati in un ca­solare isolato, possi­bilmente abitato da un compagno o da contadini che avevano avuto un famigliare ucciso dai fascisti. A loro toccava di scavare la fossa e giu­rare, pena una feroce ri­torsione, il più assoluto silenzio. A qualche rapi­to, invece, andò bene. Sborsando somme di danaro ingenti, il nota­io, il possidente, l’indu­striale molto facoltoso avevano salva la vita. E nel paese si vedeva qual­cuno diventare ricco di colpo. A qualcuno toc­cò invece di essere ucci­so anche se aveva paga­to, anzi se era stato un convinto sostenitore della Resistenza. È quanto accadde ad Al­berto Morselli, quaran­tasettenne proprietario della Bassa modenese e a sua sorella Tina. Mor­selli aveva versato una notevole somma al Cln provinciale di Modena per una sincera convin­zione antifascista. I guai arrivarono quan­do denunciò che parte dei soldi era rimasta nel­le tasche dei partigiani locali. Alber­to e Tina ven­nero uccisi. Tina, prima di essere fini­ta, fu stupra­ta. Sono sto­rie che leggia­mo nel nuo­vo libro di Giampaolo Pansa, I gen­darmi della memoria ­- Chi imprigiona la verità sulla guerra civile, appe­na uscito dalla Sperling & Kupfer (pagine 504, € 19). Questi esempi, tutta­via, non traggano in in­ganno: benché alcuni racconti completino e siano il seguito di quelli contenuti negli altri be­stseller del giornalista sulla guerra civile italiana Il sangue dei vinti, Prigionieri del silenzio, Sconosciuto 1945, La grande bugia, Pansa que­sta volta ha scritto un saggio diverso dai prece­denti, dove gli episodi sulla parte oscurata del­la guerra civile sono an­cor più in secondo pia­no rispetto alla discus­sione sull'uso politico della memoria. L'auto­re racconta da straordi­nario cronista le aggres­sioni subite l'anno scor­so quando uscì La gran­de bugia. Il 16 ottobre 2006 in una libreria di Reggio Emilia una doz­zina di «Antifascisti mili­tanti» inneggianti alla strage di Schio e «senza rimorso», come diceva un loro cartello, per i de­litti del Triangolo Ros­so, inaugurò una serie di aggressioni che costrin­sero Pansa ad annullare quattordici presentazio­ni. Ma i contestatori fu­rono anche beffati: fece­ro aumentare l'attenzio­ne dei media sul libro che volevano censurare, contribuendo così a un successo straordinario. La discussione che si accese a sinistra, al di là della solidarietà subito espressa dal Presidente Giorgio Napolitano, hanno dato l'occasione a Pansa per riflettere su un fenomeno molto ita­liano. Esiste una parte della sinistra che senz'al­cun titolo se non quello del pregiudizio ideologi­co si è arrogata il diritto di stabilire quel che si può raccontare e quel che va taciuto della no­stra storia nazionale. Ancora oggi, a più di sessant'anni dai fatti. Cosicché se un giornali­sta e storico come Pan­sa, che ha sempre credu­to nei valori della Resi­stenza, tanto da scrive­re in anni lontani per La­terza un saggio impor­tante come Guerra parti­giana tra Genova e il Po, decide di raccontare l'al­tro lato della guerra civi­le, quella dei saloini, è accusato di revisioni­smo, addirittura di ne­gazionismo. E c'è qual­cuno che gli contesta an­che l'apologia di fasci­smo. Così uno scrittore abituato a fare libera­mente il suo mestiere si trova di colpo prigionie­ro dei «gendarmi della la memoria». Fortunata­mente Pansa ha la capa­cità di dipingere con iro­nia questa razza di nuo­vi censori e anima il suo saggio di una serie di fi­gure che sembrano appena uscite dal suo Be­stiario del­l'Espresso. Accanto ai «Senzari­morso» di Reggio Emi­lia ecco com­parire «L'Uomo di Cuneo» Giorgio Boc­ca, che ave­va proposto sanzioni penali contro Pansa «apologeta di fa­scismo»; «Il Cosacco» Bruno Gravagnuolo, fo­coso polemista dell'Uni­tà; «Il professor Basta» Angelo D'Orsi che ave­va accusato Pansa di «rovescismo»; «Il Piot­ta» Paolo Cento che nel­l'88 aveva cercato di bloccare una lezione di Renzo De Felice al­l'Università di Roma e che diciott'anni dopo organizzava un convegno in suo onore. E poi ci sono «Kojak» San­dro Curzi e «Il Pelato­ne» europarlamentare comunista Marco Riz­zo, «Il Parolaio Rosso» Fausto Bertinotti, presi­dente della Camera, e «L'esorcista» storico Nicola Tranfaglia. Un'ampia famiglia ros­sa, composita e pronta alla rissa. Anche con i parenti stretti. Ci sarebbe quasi da ri­dere se la discussione non riguardasse la mat­tanza che a guerra finita costò la vita a circa ven­timila italiani che avevano aderito alla Rsi. Vit­time della vendetta per­sonale, dell' odio ideolo­gico o dell'errore. E se da questa incapacità a guardare in maniera se­rena al nostro passato,a riconoscere i propri torti, come l'uccisione di 776 donne nel solo Piemonte, non derivasse l'impossibilità di af­frontare i problemi del presente. Non è credibile, avverte Pansa, nessuna volontà di riforma dei tanti mali italiani se prima la sinistra «non ri­legge con onestà l'intera storia» della sua parte politica nel Novecen­to.

Ultimo aggiornamento ( domenica 07 ottobre 2007 )