Sin dalla fine degli anni Venti è chiara la funzione propagandistica delle crociere: sono «ottime. Bisogna vedere, vedere, vedere», rimarca il regime. Tutte le compagnie italiane di navigazione ne allestiscono, non solo su itinerari interni nell’Adriatico, nel Tirreno, nel Mediterraneo Centrale, d’Occidente e di Levante e dal 1936 lungo le coste libiche, ma anche negli Stati Uniti, nel Nord Europa, in India. Le motonavi sono autentici alberghi natanti che per giorni e settimane conducono o generici viaggiatori borghesi o centinaia di giovani irregimentati. Vivere all’aperto carezzati dall’aria profumata di sale. Tuffarsi in acqua. Asciugarsi rosolandosi al sole. Balzare in costume da bagno dal “water-polo” al tennis. Godersi la libertà e insieme l’organizzazione perfetta di un grandioso albergo di lusso. Questo è una crociera per il grandtourist del Ventennio. Per gli avanguardisti, invece, questa esperienza non è «inutile ozio. L’ozio è deplorevole a qualunque latitudine». Durante la vita di bordo i giovani sono tenuti in efficienza per intere ore dedicate alla ginnastica, ai giochi e alle letture di «buoni libri». Le crociere diventano così non soltanto «svago e tempra di spirito», ma anche «simbolo ammonitore». «Noi – ammonisce il duce – siamo mediterranei e il nostro destino è stato e sarà sempre sul mare».



















