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I Giamburrasca del neofascismo. Risse, polemiche, scissioni: la gioventù del Msi negli anni 50 PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
sabato 21 maggio 2011
Nel primo volume, uscito tre anni fa, li aveva chiamati Orfani di Salò (1945-1951). Ora, nella seconda valva del suo dittico (1952-1958), Antonio Carioti li definisce I ragazzi della Fiamma (sempre Mursia). Sono gli stessi giovani neofascisti che hanno rappresentato a lungo, per i vertici del Movimento sociale italiano, a pain in the ass: ovvero, traducendo eufemisticamente, dei «fottuti rompiscatole». Forti soprattutto nel Centro Sud, praticavano nei confronti del loro partito un’esuberante fronda interna, pur condividendone l’anima antidemocratica; e lo mettevano spesso in difficoltà, ad esempio mentre cercava una faticosa legittimazione politica alla vigilia della «legge Scelba» (giugno 1952). D’altronde, quegli stessi giovani «duri e puri» avevano contribuito nell’immediato dopoguerra alla visibilità del Msi con una serie di vivaci riviste teoriche e continui incidenti di piazza o nelle università (contro il trattato di pace, l’adesione al Patto atlantico, per la restituzione di Trieste, ecc.). Pur fermamente antiamericani e anticomunisti, i giovani non erano tuttavia un blocco monolitico. A «destra» si ponevano i cosiddetti «evoliani», che si ispiravano alla filosofia spiritualista e antimoderna del barone Julius Evola; a «sinistra» i teorici di un fascismo socializzatore, quello «eroico» delle origini e poi di Salò, non disdegnante il ricorso alla violenza.

Il partito aveva cercato di imbrigliare queste varie irrequietudini nel Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori e, a livello universitario, nel Fuan. Senza però riuscire a neutralizzare le polemiche e le defezioni. Nel suo nuovo lavoro - basato, come il primo, su una mole impressionante di fonti archivistiche, su uno spoglio certosino della stampa d’allora e su molte interviste agli ormai ottuagenari protagonisti (a volte pentiti) - Carioti parte dalla svolta «paradossale» d’inizio ‘52. Fu allora che la leadership moderata del partito (segretario Augusto De Marsanich) consegnò agli oltranzisti «evoliani», i cosiddetti «figli del sole», la guida delle organizzazioni giovanili. Cosa ottennero in cambio i capi del Msi? Secondo l’autore, «un appoggio nello scontro interno con la sinistra missina», affezionata agli umori antiborghesi e ai progetti socialisteggianti di Salò, oltre che avversa alla collocazione a destra del Msi, alla sua scelta atlantica e agli accordi con i monarchici. Accettando il patto con De Marsanich, gli «evoliani» si illudevano di prendere prima o poi anche il controllo del partito; la dirigenza della Fiamma intendeva viceversa servirsi di loro per frenare la «sinistra» e approdare, con le elezioni del 1953, su sponde governative. Progetti conflittuali, di cui Carioti segue quasi al microscopio ogni risvolto, con curiosità ma senza cedimenti «simpatetici». Gli spunti sono innumerevoli. La reazione normalizzatrice attuata, nei confronti dei «giovani», dal nuovo segretario, Arturo Michelini, nel 1954. La scissione dell’estremista Pino Rauti (Ordine Nuovo). Il vano lavorio dell’intransigente Enzo Erra per una grande destra che comprendesse la Dc. I continui rifiuti del pur destrorso Malagodi, segretario del Pli, al corteggiamento neofascista. Gli intricati rapporti del Msi con Gedda e la destra cattolica (teocon ante litteram). I dissensi sull’appoggio della segreteria del partito a Giovanni Gronchi per la presidenza della Repubblica. Le altalenanti relazioni fra Michelini e Giorgio Almirante (che diventerà segretario alla morte del primo, nel giugno 1969). Le effimere scissioni, ma anche le diaspore definitive, come quella dello storico Franco Cardini. Il tutto è scandito da mille nomi di oscuri militanti e da episodi oggi dimenticati, con cui Carioti alleggerisce il racconto, potenzialmente greve, trasformandolo sovente in briosa narrazione. Si leggano, ad esempio, le pagine iniziali sui tafferugli con cui all’antifascista Umberto Calosso (già voce di «Radio Londra») venne impedito di far lezione alla Sapienza, oppure quelle sui goffi attentati dinamitardi che mutilarono alcuni «camerati» probabilmente incolpevoli, o ancora sul lancio di un barattolo di vernice nera contro Ferruccio Parri, reo di voler commemorare la Resistenza al Teatro Adriano, nel 1957. La storia si chiude con le elezioni del 1958. Il Movimento sociale ne esce sconfitto e rimane nel suo ghetto, con Michelini però ben saldo al comando. La Dc si accredita come il vero grande argine al comunismo e al contempo si prepara ad accogliere i socialisti nei primi governi di centrosinistra. I vari gruppi scissionisti del Msi scompaiono. Ordine Nuovo rimane una piccola setta (anche se pericolosa). I «giovani» non sono più protagonisti, non soltanto perché tutte le nomine, anche dei movimenti collaterali, sono ormai state avocate dal partito, ma anche per l’esaurimento delle tante energie spese invano. Un’emarginazione che durerà almeno un decennio, fino al fatidico Sessantotto.

----  Gerbi Sandro, I Giamburrasca del neofascismo. Risse, polemiche, scissioni: la gioventù del Msi negli anni 50 L’attivismo di piazza Alcuni ragazzi rimasero mutilati nel corso di scontri e attentati e Ferruccio Parri venne colpito da un barattolo di vernice nera La corrente spiritualista Erano chiamati «figli del sole» e s’ispiravano al pensiero antimoderno e tradizionalista del filosofo Julius Evola, in «Corriere della Sera», 18 maggio 2011, p. 57.
 
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