I due fratelli triestini Flavio e Claudio de Ferra, presentatisi volontari il 23 settembre 1943 nella Milizia quando ancora non esisteva la RSI, hanno finito la Scuola Allievi Ufficiali di Modena, Corso Impeto, e adesso, novembre 1944, sono in attesa di destinazione presso il Comando Generale a Brescia.

Dal libro di Claudio de Ferra “UN MILIONE E 1” edito nel 2000, seconda edizione 2002, traiamo queste pagine (pagine 112-114) in cui i due fratelli sono indicati con gli pseudonimi di Carlo (Claudio) e Fausto (Flavio). «Ci sono novità da Trieste?». «Ancora niente, ripassate». Ed allora non restava che andare a prendere le disposizioni della giornata all’ufficio del Comando. Non c’era molto da fare. Tutt’al più, qualche raro servizio di guardia alla notte per alleviare i compiti dei militi territoriali. Nelle lunghe notti trascorse sui bastioni della fortezza, i due fratelli facevano interminabili chiacchierate, soprattutto sulla guerra e sulla vittoria che non poteva mancare, sulla povera mamma costretta ad arrabattarsi per trovare qualcosa da portare in tavola. A Trieste si moriva letteralmente di fame perché tutti i collegamenti erano stati tagliati, mentre a Brescia, attorniata da campagne produttive, la situazione era molto diversa.Una di quelle notti di guardia in cima ai bastioni, mentre tutto era silenzio e non si vedeva nulla al di fuori della linea dell’orizzonte che si stagliava nel cielo pieno di stelle, d’un tratto si sentì arrivare lui, il solito “Pippo”. Si trattava di un aereo che ogni notte seminava la morte per le contrade d’Italia. Non gli interessavano gli obiettivi militari, lui doveva solo terrorizzare la gente e creare lutti. Cosa non si fa per portare la libertà! La gente parlava di Pippo, ma, in realtà, era un intero squadrone di aerei attrezzati per il volo notturno che a notte fonda partiva dalle basi del sud dirigendosi sulle diverse città del nord e sganciando qua e là le bombe, di solito piuttosto piccole, che recava con sé in gran numero. Gli aerei tornavano poi indisturbati alle loro basi ed i piloti, dopo il meritato riposo, rimanevano in attesa di ricevere elogi e medaglie, mentre la gente che aveva avuto l’onore della loro visita, dopo aver estratto dalle macerie i suoi morti, imprecava alla guerra e a quel benedetto Duce che non la voleva smettere. Altri popoli avrebbero maledetto il nemico assassino, ma gli italiani erano diversi dagli altri. E i “liberatori” lo sapevano bene. |