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Il papà sovversivo di Benito il duce. Vittorio Emiliani racconta le passioni della Romagna PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
domenica 07 novembre 2010

Stajano Corrado, Il papà sovversivo di Benito il duce. Vittorio Emiliani racconta le passioni della Romagna, in «Corriere della Sera», 6 novembre 2010, p. 57.

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Il protagonista è Alessandro Mussolini, detto Sandrein, il papà del duce del fascismo, ma Il fabbro di Predappio, di Vittorio Emiliani (Il Mulino, pp. 188, 15), è anche un racconto sulla Romagna tra l’Ottocento e il Novecento, turbolenta, tra «bombe all’Orsini», sogni di una rivoluzione liberatrice, coltellate, schioppettate, cariche di cavalleria, processi di Corte d’assise. In quegli anni, nella Romagna incandescente, le anime anarchiche, socialiste, repubblicane, anticlericali s’incontrano e si scontrano con i conservatori intransigenti, con i «squaciarel», i clericali più bigotti, e soprattutto con i prefetti, le guardie regie, i carabinieri e i soldati mandati a mietere il grano e a mungere le mucche nei giorni di sciopero. Emiliani, che ha scritto in passato Il paese dei Mussolini (1985) e I tre Mussolini (1997), ed è autore di libri e di saggi sugli anarchici di Romagna - oltre a una corposa biografia di Gioacchino Rossini, Il furore e il silenzio (2007) - è nato a Predappio, figlio del segretario comunale. La sua nonna materna, Lucrezia, poi, era prima cugina del padre di Benito, Alessandro, appunto. Conosce nel profondo quei luoghi, compresi i caratteri e i moti del cuore dei romagnoli dal sangue ribelle. Giornalista, inviato del «Giorno», direttore del «Messaggero», deputato progressista della XII legislatura, ha conservato la passione politica degli uomini delle passate generazioni. Il libro è la memoria dei personaggi e delle lotte sociali di allora, in una terra di povertà oggi inimmaginabile, tra fame, analfabetismo, malattie - la pellagra, la tubercolosi - dove la rivolta ebbe realistiche motivazioni. Alessandro Mussolini, nato a Montemaggiore di Predappio Alta nel 1854, è un anarchico internazionalista, affascinato dalla figura di Garibaldi e seguace di Amilcare Cipriani, «l’uomo più rosso d’Italia», eroico difensore di Place Vendôme, nella Comune di Parigi. Figlio di Luigi, piccolo proprietario di terra decaduto a bracciante - Emiliani ha trovato una sua lettera dignitosa e disperata del 1876 in cui chiede all’arciprete di Meldola un prestito di 15 lire per curare la moglie ammalata - viene destinato a fare il fabbro ferraio. Ma è la «pulética» ad appassionarlo più dell’incudine e del martello. L’Osteria del Moro, vicina a casa, è il luogo dell’iniziazione: gran bevute di Sangiovese e fiumi di parole incendiarie. Schedato come pericoloso sovversivo, nel 1878 finisce in prigione, nella Rocca di Forlì, poi il pretore lo condanna a 4 anni di sorveglianza speciale. Si innamora della maestra Rosa Maltoni, una specie di madonna per il sussidiario scolastico degli anni del fascismo. Si sposa, è una brava donna, cattolica, tocca a lei tirare avanti la famiglia. La fucina di Alessandro è infatti il più delle volte silente. Il libro di Emiliani, di amabile lettura, è ricco di osservazioni, i bizzarri soprannomi romagnoli, i personaggi non comuni che s’incontrano tra le pagine e rendono il racconto avvincente, Andrea Costa, passato dall’«anarchismo rivoluzionario al socialismo elettivo», la bella Anna Kuliscioff, Bakunin, Filippo Turati, Giovanni Pascoli, sovversivo anche lui, il vate Carducci, Pellegrino Artusi, Renato Fucini, Pietro Nenni, altri. Benito Mussolini nasce a Dovia di Predappio il 29 luglio 1883. Rivela subito il suo spirito di violenza, il suo orgoglio ferito, la frustrazione, la passione per l’io. È un caratteriale, espulso dal collegio dei salesiani di Faenza, maestro, dopo infinite bizzarrie, a Forlimpopoli. Alessandro è diventato intanto assessore al Comune di Predappio, si dà da fare, fonda una società cooperativa di braccianti, acquista la prima macchina trebbiatrice a vapore, ha ancora noie con la giustizia, passa quasi sei mesi in carcere per l’assalto al seggio del municipio del paese, prosciolto poi dalla Corte d’assise. Benito segue le sue orme, ha le stesse idee, nel 1908 passa tre mesi in carcere per minacce a un dirigente padronale. I compaesani lo chiamano «e’mat». «Ah, chissà quel matto dove ci porterà a finire» commenta Lucrezia, la cugina-matriarca. E Giosuè Carducci, fratello del preside di Forlimpopoli, dopo il diploma, pronuncia una sentenza preveggente: «È un giovane dotato che potrà fare molto bene o molto male all’Italia». Sandrein muore nel 1910. Benito è allora il portavoce delle bandiere più massimaliste. Poi, alla vigilia della Grande guerra, direttore dell’«Avanti!», diventa da neutralista senza dubbi a interventista tra i più focosi: con i finanziamenti francesi fonda il «Popolo d’Italia». Comincia così, da voltagabbana, la sua carriera di duce del fascismo. Sandrein e la sua memoria, a questo punto, diventano scomodi. Accantonato, da dimenticare, da cancellare con tutti i mezzi, con quel passato da sovversivo. Il fondatore dell’Impero ha bisogno ora di altri padri.  
Ultimo aggiornamento ( domenica 07 novembre 2010 )
 
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