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Nazisti, in Sud Tirolo il rifugio delle SS in fuga PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
sabato 01 novembre 2008

Marco Ansaldo, Nazisti, in Sud Tirolo il rifugio delle SS in fuga, in «La Repubblica», 28 ottobre 2008, p. 37.

 

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LUGANO - Adolf Eichmann, l’architetto dell’Olocausto, si faceva chiamare «Riccardo Klement, nato a Bolzano, professione tecnico». Josef Mengele, l’"Angelo della morte", il medico autore degli esperimenti sui detenuti ebrei, aveva assunto invece il nome di «Helmut Gregor, cittadino sudtirolese, professione meccanico». E anche Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine, si era dotato di documenti e identità nuove: «Otto Pape, lettone, direttore d’albergo», con doppia residenza, Roma e Bolzano. Dopo la disfatta del Terzo Reich, i massimi dirigenti delle SS, e con loro migliaia di criminali nazisti, vennero salvati e ospitati in Sud Tirolo, regione germanofona, a quell’epoca dotata di un confine poroso e considerata quindi un nascondiglio perfetto, priva di spiccare il balzo con documenti nuovi verso il Sud America attraverso il porto di Genova. A procurare gli incartamenti falsi, e ad assicurare per settimane, talvolta per lunghi mesi, un rifugio sicuro, furono sovente sacerdoti compiacenti con il regime di Hitler. I prelati, dietro lo scudo della Pontificia commissione assistenza profughi creata da Pio XII nel 1944, prima ribattezzarono in chiesa i nazisti sotto nuovi nomi. Poi fecero assegnare loro documenti della Croce rossa, capaci di garantire l’espatrio dall’Italia, soprattutto verso l’Argentina, ma anche in Egitto o in Siria. Le rivelazioni provengono da diverse carte ritrovate negli archivi di Bolzano, Merano e Bressanone, oltre che dai registri di molte parrocchie dell’Alto Adige e in alcuni fondi negli Stati Uniti. I documenti inediti sono stati portati alla luce da uno storico di Innsbruck, Gerald Steinacher, che per cinque anni ha lavorato sulle fonti dirette in Italia, Germania e America, pubblicando per l’editore StudienVerlag un corposo libro uscito in Svizzera e in Austria, intitolato "Nazis auf der Flucht" (Nazisti in fuga).

 

Nel dopoguerra, diversi dirigenti nazisti riuscirono a farla franca portando in salvo le proprie famiglie. E, assieme alla grande e genuina massa di profughi, scapparono anche una serie di personaggi legati al mondo del contrabbando, della prostituzione e dello spionaggio. Per costoro l’importante era assicurarsi una nuova esistenza. E il Sud Tirolo si rivelò in questo caso un territorio ideale.

Adolf Eichmann aveva vissuto in Germania, sotto falso nome, fino alla primavera del 1950. Era riuscito a risparmiare abbastanza denaro per la progettata fuga in Sud America. Nella cerchia delle SS era nota la sua possibile via di fuga attraverso l’Italia, e Genova costituiva per tutti, insieme con Trieste, una méta nevralgica prima del salto oltre Europa. Vestito in abiti di montagna, in testa un cappello tirolese col pennacchio, Eichmann passò il Brennero con l’aiuto di traghettatori di frontiera, che lo consegnarono una volta raggiunto il confine al parroco di Sterzing (Vipiteno) il quale lo confortò con del vino tirolese. Il suo prossimo rifugio fu un chiostro dei francescani nella provincia di Bolzano. A Merano ottenne infine documenti falsi, e a Genova, come mostrano i documenti pubblicati in questa pagina, gli venne consegnato in data 1 giugno 1950 il «permesso di libero sbarco».

Josef Mengele, dopo Auschwitz, lavorò in Baviera in un’azienda di materali agricoli. La domenica di Pasqua del 1949 scattò il suo piano per arrivare in Argentina, dove imperava Peròn e ben disposta verso la Germania. In Italia, Mengele giunse con l’aiuto di due passatori di Merano. Sotto falso nome, si fermò per quattro settimane all’hotel «Goldenes Kreuz» (Croce d’oro) di Sterzing, fino a quando non fu dotato di un’altra identità, come rivela il certificato N. 100501 del Comitato internazionale della Croce Rossa: «Helmut Gregor, nato a Termeno (Alto Adige), nazionalità italiana, professione meccanico, celibe, indirizzo via Vincenzo Ricci 3 Genova». Incredibile appare oggi il motivo della sua richiesta di viaggio: «Il richiedente è stato prigioniero di guerra - internato - deportato».

Erich Priebke, dopo la sconfitta dell’Asse già risultava residente con la famiglia a Sterzing nel 1943. Fu catturato a Bolzano dalle truppe americane nel maggio del 1945, portato ad Afragola e quindi a Rimini. Da lì fuggì, portandosi a Roma dove ebbe contatti con il superiore generale dei padri salvatoriani, Pancratius Pfeiffer, e da Bologna in treno riuscì a tornare a Sterzing sotto la nuova identità di Otto Pape, ottenuta con il rito del battesimo.

In molti casi infatti l’aiuto del Vaticano, al cui interno alcuni consideravano i nazisti come i salvatori dal bolscevismo, fu determinante. Dopo il "ribattesimo", pratica formalmente considerata illegale dalla Chiesa, e l’assegnazione di un nuovo nome, alle ex SS venivano consegnati documenti di espatrio da parte della Croce rossa, che non sempre operava controlli stretti e infine accettava gli incartamenti dotati di identità, dati di nascita, nazionalità e professione. Così accadde per Klaus Barbie, il capo della Gestapo di Lione, divenuto Klaus Altmann, cittadino rumeno. O per Franz Stangl, il boia di Treblinka, fatto «emigrare» in Argentina da «monsignor Luigi», il potente cardinale Alois Hudal. Eichmann fu catturato infine dal Mossad in Argentina e impiccato nel 1962 dopo il processo in Israele. Mengele morì in Brasile nel 1979 per un ictus mentre nuotava in piscina. Priebke, oggi 94enne, dopo la cattura in Argentina e la condanna in Italia all’ergastolo, vive a Roma in regime di semilibertà. Molti furono i criminali di guerra ospitati nei conventi di Bressanone e Merano. Così come diversi capi ustascia croati trovarono rifugio a Roma, nel chiostro di S. Girolamo a via Tomacelli.
Ultimo aggiornamento ( sabato 15 novembre 2008 )
 
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