Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
Pansa: Italia, la revisione continua
Scritto da Redazione   
lunedì 01 giugno 2009

Roberto Beretta, Pansa: Italia, la revisione continua. Nel nuovo libro (autobiografico) del giornalista piemontese, il bilancio di un principio da estendere ormai ben oltre la Resistenza, in «Avvenire», 15 maggio 2009, p. 25.

 

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«Non si può cantare in tutti i cortili». Gira e rigira, la morale po­trebbe ridursi qui: alla vecchia massima di nonna Caterina Zaffiro vedova Pansa, che al bambino Giampaolo insegnava di non iscri­versi ad alcun partito preso. Oppu­re – più nello specifico – ai 4 prin­cipi del revisionista resistenziale: 1) le vendette dei vincitori sono state così sanguinarie da sporcare senza rimedio la buona causa dei partigiani; 2) la buona causa della Resistenza non fu la bandiera di tutti i partigiani, qualcuno com­batteva per altri fini; 3) i fascisti della Repubblica Sociale non era­no tutti mostri, carnefici, tortura­tori; 4) non si può descrivere una guerra civile ascoltando solo la vo­ce di chi ha vinto. Ma c’è caso che il nuovo libro del giornalista pie­montese, in uscita il 20 maggio, non procuri i soliti «mal di Pansa» soltanto alla sinistra.

Il revisionista (Rizzoli, pp. 484, euro 22), nel suo intento di rinvenire nell’autobio­grafia dell’autore le tracce contro­corrente fin dalla più precoce in­fanzia, rischia infatti di offrire il fianco ancor più scoperto ai già molti nemici; che presumibilmen­te andranno presto a cercare epi­sodi a smentita.

 

Non che Pansa se ne faccia un cruccio, e non solo per la consolazione di centinaia di migliaia di copie vendute con la sua serie di libri sulla guerra civile italiana, che dura con cadenza an­nuale dal 2003:

«A 73 anni e dopo 40 di giornalismo sono diventato sovranamente in­differente a tutte le etichette che mi vogliono mettere addosso. L’unica che rifiuterei è d’essere falsario o terrorista. Per il re­sto c’è spazio».

 

Anche per l’accusa di revisionista?

«Ma certo! All’ini­zio mi dava un po’ fastidio, come quando mi chiamavano "rovesci­sta"... Per definirmi avevo inventa­to il termine un po’ burocratico di "completista". Ma mi è passata presto, tanto che uso il revisioni­smo quale vanto fin dal titolo del libro, e per due motivi: il primo è prendermi beffa dei trinariciuti, le vestali delle bugie che la sinistra ha costruito per decenni intorno alla cosiddetta guerra civile; il se­condo è fare omaggio alle moltissi­me persone che mi sono grate per aver dato loro voce».
Ultimo aggiornamento ( lunedì 22 giugno 2009 )
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Le vittime di Tito e compagni adesso hanno un nome. Ecco l’anagrafe dei 20mila morti
Scritto da Redazione   
lunedì 01 giugno 2009

Miska Ruggeri, Le vittime di Tito e compagni adesso hanno un nome. Ecco l’anagrafe dei 20mila morti, in «Libero», 29 maggio 2009.

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La guerra civile del ’43-’45 (con i suoi tanti assurdi strascichi) fu dura e crudele ovunque, ma soprattutto lungo il confine orientale, a causa dell’occupazione titina. Partigiani sloveni e partigiani italiani di formazioni “garibaldine”, le truppe del IX Corpus sloveno, la cosiddetta “Guardia del Popolo”, formata da circa 400 comunisti italiani, e l’Armata Jugoslava del Movimento di Liberazione Jugoslavo (ANVOJ), di cui arrivarono a far parte anche ex militari del nostro Regio Esercito, si macchiarono di orrendi crimini contro tutti coloro che si opponessero in qualche modo, nei fatti o solo potenzialmente, all’annessione dell’Istria, della Venezia Giulia e del territorio friulano fino al confine sognato sulle sponde del Tagliamento. Così tantissimi furono gli uccisi, i deportati nei campi di rieducazione (Borovnica, Skofja Loka, Lepoglava, Lubiana, Aidussina, Idria, Vipacco, Maribor), gli infoibati, gli scomparsi nel nulla.

Ma quanti esattamente? Finora è stato difficile fornire delle cifre esatte e non contestabili. Troppo poche le fonti certe e le testimonianze inoppugnabili per non produrre un balletto di numeri e polemiche strumentali, con i “negazionisti” che riducevano gli infoibati a poche decine e gli scomparsi ad alcune centinaia. Ma adesso, finalmente, grazie al Registro delle vittime del Confine Orientale (A-B-C). Gli Italiani e gli Istroveneti (Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur”, pp. 320, euro 25; tel. 0434/554230, Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo ) curato dallo storico Marco Pirina, con la collaborazione di studiosi italiani, sloveni, croati e serbi, alcuni punti fermi si possono dare per acquisiti.

Ultimo aggiornamento ( giovedì 18 giugno 2009 )
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La scuola per i “martiri” di Mussolini
Scritto da Redazione   
lunedì 01 giugno 2009

Marcello Veneziani,  La scuola per i “martiri” di Mussolini, in «Libero», 30 maggio 2009.

 

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Il libro di Tomas Carini riapre un capitolo cancellato nella storia e nella demonologia del fascismo: il legame tra cultura e militanza, idee e azione, anzi il misticismo dell’azione che animò il fascismo più fideista.

La sua ricerca è per me un ritorno a temi, autori e passioni della mia giovane età. Tante letture, vari scritti e infine La rivoluzione conservatrice in Italia, che scrissi quando non avevo trent’anni e pubblicai nel 1987. Ritrovo in queste pagine gli autori di quegli anni, la passione per quella cultura della prima metà del Novecento, l’interesse trasgressivo e curioso, senza pregiudizi o bende ideologiche agli occhi, verso la proibita esperienza del fascismo che teologicamente qualcuno vorrebbe definire «il male assoluto».

Di assoluto si respira molto nelle pagine della Scuola di Mistica fascista e del suo principale animatore Niccolò Giani, che all’assoluto trapiantato nella storia credeva con tutta l’anima e la buona fede di un militante disposto a pagare quella professione di idee sulla propria pelle, come poi coerentemente fece. Fede assoluta, ma il male lo fecero solo a se stessi, alla propria vita che sacrificarono nel nome dell’idea e della purezza di un sogno.

Mi appassionai verso i vent’anni alla Scuola di Mistica fascista, pur ritenendo evolianamente incongruo l’accostamento tra una dimensione sacra, legata al trascendente, come è la mistica, e la dimensione storica, ideologica e politica del fascismo. Vi scrissi anche un saggio, quando avevo poco più di vent’anni, che leggeva la scuola di Giani, Pallotta e Arnaldo Mussolini come il tentativo di realizzare «un fascismo ad alta tensione», per una casta di eroi missionari, quasi l’aristocrazia del fascismo, come diceva lo stesso Mussolini.

Ultimo aggiornamento ( giovedì 18 giugno 2009 )
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