Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
La «soluzione» fascista alla crisi
Scritto da Redazione   
domenica 07 giugno 2009

Valerio Castronovo, La «soluzione» fascista alla crisi, in «Il Sole 24 Ore», 12 aprile 2009, p. 30.

 

 

A differenza di quella at­tuale, la depressione economica manifesta-tasi ottant'anni fa scaturì da una crisi di sovraproduzione e non tanto da una crisi finanzia­ria. Tuttavia si è tornati a par­larne da più parti per capire se alcune soluzioni adottate do­po il crollo di Wall Street nel­l'ottobre 1929 potrebbero ser­vire ancor oggi, sia pur con al­cune varianti, ad affrontare il ciclone che si è abbattuto sull'economia globale.

Va detto peraltro che in se­de storiografica non si è mai smesso di analizzare le misu­re assunte a quei tempi dai principali governi, per valu­tarne i criteri ispiratori e i mol­teplici risvolti. E ciò con riferi­mento anche al caso italiano, in quanto i provvedimenti al­lora attuati diedero vita allo «Stato banchiere e imprendi­tore», ossia a una creatura sen­za analoghi corrispettivi in al­tri Paesi europei e destinata per di più a sopravvivere sino a quindici anni fa.

Si spiega perciò come sia uscita di recente un'opera pon­derosa, a cura di Domenicantonio Fausto, che ricostruisce passo per passo, attraverso die­ci saggi di diversi autori e in ba­se a una vasta documentazio­ne, le matrici e le modalità del­la politica economica fascista in quei fatidiqi anni Trenta.

Da quest'ampia e pressoché esaustiva rievocazione di co­me andarono le cose, si può de­durre perché e come l'inter­vento dello Stato a sostegno del sistema economico, sebbe­ne fosse un fenomeno tutt'altro che inedito nel processo di sviluppo del capitalismo italia­no fin dai suoi esordi tardo-ottocenteschi, abbia finito tutta­via per determinare una svolta cruciale rispetto alle esperien­ze del passato.

Ultimo aggiornamento ( lunedì 22 giugno 2009 )
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Siamo tutti Resistenti?
Scritto da Redazione   
domenica 07 giugno 2009

Emilio Gentile, Siamo tutti Resistenti? La pubblicazione, cinquant'anni dopo, di un testo di Mario Dal Fra rimette in discussione i criteri storiografici coi quali è stato affrontato il movimento di liberazione. Ma la strada verso una memoria condivisa è ancora lunga, in «Il Sole 24 Ore», 19 aprile 2009, p. 30.

 

 

 

Come sarà celebrato quest'anno il 25 aprile? Quali commenti, quali pole­miche o quali stravaganti iniziative di illustri o modesti uomini politici, accompagneranno la Festa della Li­berazione nel suo sessantaquattresimo anniver­sario? Poiché non ci è stato concesso il dono del­la profezia, non possiamo prevederlo. Possia­mo tuttavia fare qualche ipotesi. Per esempio, l'ipotesi che saranno ripetute le recriminazioni contro l'uso politico della Storia, e le perorazio­ni a favore di una storia condivisa. Che sentire­mo ancora le invettive contro il revisionismo antiresistenziale che vuole affossare il valore dell'antifascismo come fondamento storico e ideale dell'Italia repubblicana, e le filippiche contro la vulgata resistenziale che sacralizza la Resistenza come un mito intangibile. Che saran­no reiterate imperiose accuse su colpevoli silenzi, e sdegnate proteste per rivelazioni provoca­torie. Che si udranno di nuovo gli appelli a com­prendere la buona fede dei vinti, e le rivendica­zioni della bontà incomparabile dei vincitori. Che saremo ancora esortati a dimenticare il pas­sato, e ancora ammoniti a non dimenticare il passato. Almeno, questo è quanto accaduto fi­nora, a ogni anniversario del 25 aprile, secondo la replica di un copione senza varianti. Se nessu­na di queste ipotesi sarà confermata, potremo forse considerare veramente chiusa un'epoca nella storia della coscienza politica italiana nell'era* repubblicana. È stata un'epoca di mezzo secolo, dominata da lacerazioni e conflitti profondi, che hanno spesso assunto gli aspetti potenziali di una guerra civile, costellata di terrorismo, violenze e uccisioni. E potremo anche pensare che ci siano finalmente le condizioni per scrivere una storia della Resistenza italiana in cui, anche se «non si riscontri un'assoluta identità di vedute», «ogni giudizio sia pronun­ciato con intendimento storico, ossia con l'appoggio dei documenti e l'analisi paziente e scru­polosa dei fatti». Questo aveva auspicato mez­zo secolo fa il filosofo Mario Dal Pra, già militan­te partigiano del Partito d'Azione, fattosi egli stesso storico della resistenza alla fine degli an­ni Quaranta, scrivendo un libro rimasto incom­piuto che solo adesso ha visto la luce col titolo La guerra partigiana in Italia (a cura di D. Borso, Giunti, 2009).

Ultimo aggiornamento ( domenica 21 giugno 2009 )
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Un testo delle Nazioni Unite del 1942 denunciava con chiarezza lo sterminio degli ebrei
Scritto da Redazione   
domenica 07 giugno 2009

Michele Sarfatti, Ma Pio XII non firmò, Un testo delle Nazioni Unite del 1942 denunciava con chiarezza lo sterminio degli ebrei e i suoi responsabili. Il papa non aderì e nel discorso di Natale si limitò ad allusioni vaghe, in «Il Sole 24 Ore», 10 maggio 2009, p. 37.

 

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Il discusso pannello su Pio XII del Museo di Yad Vashem for­ma un angolo retto con il pannel­lo «Perché Auschwitz non fu bombardato»; ci troviamo quin­di in un punto espositivo dedicato al tema delle reazioni dei Paesi ed Enti non nazisti. Poco avanti i visitatori ri­cevono notizia del soccorso prestato a ebrei da enti cattolici di Assisi e altre città italiane; il pannello su Pacelli è quindi dedicato a lui, non all'insieme dei fedeli o al cattolicesimo in quanto tale. Il testo non presenta il papa come colpevole o corresponsabile dello sterminio e non lo definisce ambiguo. Inizia affermando che la sua reazione alla Shoah è questione controversa (a matter of controversy) e termina soste­nendo: «il suo silenzio e la mancanza di direttive generali (guide lines) co­stringerò gli ecclesiastici (Church men) in tutta Europa a decidere per proprio conto come reagire». Questo riferimento al continente, ossia innan­zitutto ai tre milioni di ebrei polacchi sterminati, segnala la forzata perifericità delle migliaia di ebrei italiani sal­vati in Italia da cattolici.

Il "silenzio" attribuito a Pio XII di­scende principalmente dal brano: «An­che quando rapporti sull'assassinio di ebrei raggiunsero il Vaticano, il papa non protestò a voce o per iscritto. Nel dicembre 1942 si astenne dal firmare la Dichiarazione degli Alleati di condan­na dello sterminio degli ebrei». Che la Santa Sede avesse ricevuto nel 1942 rap­porti più che espliciti è cosa nota, gra­zie anche ai documenti da essa pubbli­cati. La Dichiarazione diffusa dai gover­ni delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1942 è invece sostanzialmente ignota in Italia (e viene qui proposta nella tradu­zione di Elisa Benaim): «L'attenzione dei Governi del Belgio, Cecoslovac­chia, Grecia, Jugoslavia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Regno Uni­to, Stati Uniti d'America e Unione So­vietica e anche del Comitato Naziona­le Francese è stata sollecitata da nume­rosi rapporti provenienti dall'Europa che affermano che le autorità tede­sche, non paghe di aver negato in tutti i territori sui quali hanno esteso il loro barbaro dominio, i diritti umani più ele­mentari alle persone di razza ebraica, stanno ora mettendo in atto il proposi­to di Hitler, molte volte annunciato, di sterminare la popolazione ebraica in Europa. Da tutti i territori occupati gli ebrei sono trasportati in condizioni del più abbietto orrore e brutalità verso l'Europa dell'Est. In Polonia, trasforma­ta nel principale macello nazista, i ghet­ti istituiti dall'invasore tedesco vengono sistematicamente svuotati di tutti gli ebrei, all'infuori di pochi operai, alta­mente specializzati, richiesti dalle indu­strie di guerra. Non si hanno più noti­zie di nessuno di quelli portati via. Coloro che sono in buone condizioni fisiche muoiono lentamente per sfinimento in campi di lavoro. Gli infermi sono lascia­ti morire all'aperto o per fame o sono deliberatamente uccisi in eccidi di mas­sa. Si calcola che li numero delle vitti­me di queste crudeltà letali sia di molte centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, del tutto innocenti. I Governi suddetti e il Comitato Nazionale Fran­cese condannano nel modo più assolu­to questa politica bestiale di sterminio a sangue freddo. Dichiarano che tali eventi non possono che rafforzare la ri­soluzione di tutti i popoli amanti della libertà di rovesciare la barbara tirannia hitleriana. Essi riaffermano il loro solenne impegno di far sì che i responsabi­li di questi crimini non sfuggano alla giusta condanna, nonché di intrapren­dere tutte le necessarie misure prati­che affinché tale scopo sia raggiunto». Il testo denunciava pubblicamente il genocidio in atto e assicurava la puni­zione dei responsabili. Esso contene­va i vocaboli: nazista, tedesco, hitleria­no, ebreo, sterminio, crudeltà, barba­ro, brutalità, letale, orrore, macello, ec­cidio, ucciso, nonché i riferimenti quantitativi «sterminare la popolazio­ne ebraica» e «molte centinaia di mi­gliaia». Il quadro proposto, pur inferio­re al livello raggiunto dal genocidio, era abbastanza preciso. A mio parere la Dichiarazione (o una sua eco) rag­giunse il gruppo dirigente dell'Italia fa­scista, producendovi quanto meno una reazione di attenzione: il 26 genna­io 1943 il capo di stato maggiore genera­le Cavaliere telefonò al comandante della quarta armata in Francia Vercellino per parlargli di «pubblicazione su giornali esteri di un proclama che de­plora la lotta contro gli ebrei»; il 4 mag­gio seguente «Il regime fascista» di Fa­rinacci pubblicò il corsivo «Sterminio integrale», che utilizzava quel vocabo­lo e contestava dichiarazioni america­ne su «responsabilità del popolo italia­no e tedesco nei pretesi massacri in massa degli Ebrei e dei Polacchi», im­putando invece agli Usa minacce di sterminio verso l'Italia.

Ultimo aggiornamento ( venerdì 19 giugno 2009 )
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