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I peccati di Farinacci PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
giovedì 12 novembre 2009

Roberto Festorazzi, I peccati di Farinacci, in «Libero», 11 novembre 2009.

 

 

 

Tra le carte segrete di Roberto Farinacci, da noi ritrovate all’Archivio Centrale dello Stato, vi è un documento di rilevanza straordinaria. Si tratta di un’informativa riservatissima per il Duce, datata «Milano 20 agosto 1941», che dimostra il frondismo del ras di Cremona. La relazione, anonima, riferisce un’importante testimonianza diretta sull’«atteggiamento antimussoliniano» apertamente assunto da Farinacci a seguito dei rovesci militari subiti dall’Italia in Grecia, Albania e Africa. Dopo il fallimento delle operazioni di guerra in terra ellenica, il capo di Stato maggiore generale, Pietro Badoglio, pesantemente attaccato dal Regime Fascista, dovette dimettersi.

Pochi mesi più tardi, a finire nel mirino fu il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, che l’11 febbraio 1941 lasciò la Libia e il comando delle forze dell’Asse e se ne tornò in Italia: subito alcuni potenti uomini politici chiesero e ottennero un’inchiesta contro di lui. Roberto Farinacci lo accusò privatamente di «codardia». Graziani restò per due anni privo di cariche. Verrà ripescato soltanto dopo la nascita della Repubblica sociale italiana, nel settembre del 1943.

È chiaro che, colpendo le gerarchie militari, il ras padano desiderava mettere in gravi difficoltà Mussolini. La citata relazione, di fonte sicuramente poliziesca, non ha dubbi nel qualificare Farinacci come «traditore», giacché, parlando con un fedelissimo del Duce come il giornalista Alessandro Melchiori, ex vicesegretario del Partito e presidente della Fiera di Tripoli, il capo del fascismo cremonese sentenziò a proposito di Mussolini: «È sempre lo stesso. Non ne combinerà mai una buona». All’origine delle notizie-bomba sull’antimussolinismo di Farinacci c’è lo stesso Melchiori, che, in quell’estate del ’41, ha modo di incontrare il collega gerarca mentre si trova in villeggiatura a Viareggio. Entrambi alloggiano in un hotel di lusso della località versiliana, il Principe di Piemonte, dove Melchiori, incredulo, dopo aver riferito di aver da poco incontrato il Duce a Palazzo Venezia, riceve questa risposta raggelante dal sarcastico Farinacci: «Naturalmente non avrai concluso nulla di buono. Ormai con lui si perde tempo e niente altro». Conclusione pratica: Mussolini è oramai privo dell’energia necessaria per governare il Paese e vincere, come aveva promesso con la famosa parola d’ordine lanciata dal balcone di Palazzo Venezia all’annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940.

Agosto 1941: è la seconda estate che gli italiani trascorrono in stato di belligeranza. Il cibo è razionato e si sta raschiando il barile dell’autarchia. Farinacci, in una lettera al Duce del 13 settembre 1939, pochi giorni dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, aveva profetizzato l’assoluta necessità di una vittoria rapida: «La Germania deve vincere in pochissimi mesi, altrimenti, se la guerra dovesse durare qualche anno, la vittoria arriderebbe sicuramente - sebbene dopo enormi sacrifici - all’Inghilterra e alla Francia, a cui gli Stati Uniti non negheranno il loro appoggio». Analisi di una lucidità impressionante.

Ma torniamo al documento uscito dall’Archivio Centrale dello Stato. Vi è un particolare curioso: la nota informativa “a carico” viene “girata” allo stesso Farinacci, secondo la consuetudine di Mussolini, che era solito interrogare gli alti papaveri del regime sulle notizie (e più spesso sui pettegolezzi) raccolte e a lui riferite sul loro conto. Non si spiegherebbe altrimenti per quale ragione la relazione sia finita nell’incarto dei documenti farinacciani.

Parte considerevole della informativa viene dedicata a colpire la persona del ras di Cremona, che a Viareggio si segnala per il tenore di vita brillante che conduce, con qualche ostentazione, senza alcun timore di essere “infilzato” dalle critiche della numerosa «colonia di bagnanti», grazie alla «fama di intoccabilità» procuratasi.

Si legge nel rapporto: «L’iniziatore della campagna contro le donne in pantaloni si è esibito in lungo e in largo a fianco dell’amante Pederzini, abbigliata con pantaloni di pretto taglio mascolino. In compagnia dei fidi Varenna, Candiani, Brusadelli e della stessa Pederzini, alternava le brevi esibizioni pedestri (sic!) con spostamenti da un albergo all’altro sempre a bordo di due macchine Fiat 1500 a metano».

La bellissima Gianna Pederzini, nota cantante lirica, fu per anni la compagna semiufficiale del ras, che trascorreva con lei le sue vacanze nelle più rinomate località marittime o montane.

L’anonimo estensore del documento commenta: «L’economia del carburante imposta a tutti gli italiani non riguarda evidentemente il signor Farinacci, la sua amante e gli uomini del suo seguito. Con le stesse macchine si sono portati sulle spiagge vicine e al mattino si recavano regolarmente a Montecatini. I commensali dell’albergo “Principe” hanno potuto constatare come questa gente possa tenere in sommo dispregio anche le disposizioni sul razionamento e mangiasse liberamente quanto vietavano le disposizioni di guerra». 
Ultimo aggiornamento ( giovedì 12 novembre 2009 )
 
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