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Se la memoria storica diventa caricatura PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
giovedì 28 maggio 2009

Battista Pierluigi, Se la memoria storica diventa caricatura, in «Corriere della Sera», 20 aprile 2009, p. 26. 

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Ancora. Nel 2009 uno studioso, Domenico Losurdo, scrive al manifesto per affermare che Stalin, certo, si macchiò di qualche colpa, ma insomma non è che dobbiamo trascurare i sempiterni crimini americani. Ancora. Il quotidiano Liberazione, suscitando il comprensibile orrore di Rina Gagliardi, spende parole «giustificazioniste» sulla tirannia stalinista e trasforma il giornale in una parodia degli anni Cinquanta. Ancora. Ai funerali romani di Giano Accame, un intellettuale raffinato e coraggioso che ha speso la sua vita per smantellare gli steccati ideologici del Novecento senza rinnegare nulla di se stesso, qualcuno si è premurato di omaggiare la salma con il saluto romano e con le parole d’ordine della liturgia fascista e neofascista. Ancora.

Ancora. La memoria storica si macchiettizza, si consuma tra nostalgie e rimpianti, mette in scena, deformandoli nella caricatura, gli stereotipi del passato. A Hollywood non si spreca niente, e viene riciclata l’immagine immacolata del «Che» ridotto a santino rivoluzionario. Nelle periferie della politica italiana ci si accapiglia senza requie sulla toponomastica ideologica: discussioni su «via Almirante» invece della manutenzione delle strade, dibattiti su «piazza Togliatti» anziché semplificare la vita di chi si sobbarca la fatica della raccolta differenziata. Ancora. Come ogni anno, come gli ultimi del secolo scorso e i primi di quello nuovo, il centro della polemica politica si sposta sul dilemma inestinguibile: partecipare o meno alle celebrazioni del 25 aprile sfidando i rituali fischi e le abitudinarie contestazioni? Ancora.

Già visto, già letto, già sentito. Anche se la sensazione che se ne ricava è quella dell’epilogo stanco, dell’estetismo della fedeltà, della terminologia frusta che non è in grado di parlare a chi oggi ha la fortuna di contare meno di trent’anni all’anagrafe. Beninteso, le discussioni storico-politiche, quando sono agguerrite e alludono a passaggi decisivi del nostro stare al mondo e nella società, possono essere appassionanti e svolgono l’utile funzione di tonificare un discorso pubblico troppo avvilito sul presente. Ma sta diventando macroscopico il pericolo, non tanto della museificazione della storia, quanto della museificazione di se stessi, e addirittura dell’autoparodia. Il gioco del «fascista» che si contrappone al «comunista», e viceversa. Ma anche il gioco di chi taglia a fette la storia, scegliendo quale gustare e quale scartare e gettare nella spazzatura. Come Eugenio Scalfari, che non risparmia sarcasmi sull’anticomunismo senza comunismo, ma simultaneamente richiama i valori eterni dell’antifascismo, anche senza fascismo. Ancora.

Ancora. Siamo, ancora, prigionieri del passato. Con il premier che consacra buona parte del suo discorso di fondazione del Pdl all’attualità del pericolo «comunista». E con i suoi avversari che discettano pugnaci sulle somiglianze del berlusconismo con uno dei momenti (il 1922, il ‘25? O addirittura il ‘38?) del regime fascista. Adesso è la volta di Stalin, e della sua obliqua riabilitazione. Ivan il Terribile è in attesa. Nerone ha già passato la prova. Ancora. 
Ultimo aggiornamento ( sabato 06 giugno 2009 )
 
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