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Il soggiorno elvetico di Montanelli (agosto '44-maggio '45) PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
lunedì 24 settembre 2007

Renata Broggini, Passaggio in Svizzera.

L’anno nascosto di Indro Montanelli 

Feltrinelli, Milano 2007, pp. 236 (in libreria da giovedì 27 settembre)

Indro, imprecisione svizzera 

Renata Broggini indaga sul soggiorno elvetico del giornalista (agosto '44 – maggio '45). Un periodo che l’interessato non mancò di mitizzare, abbellendo qualche dettaglio 

di Sandro Gerbi e Raffaele Liucci 

(in «Il Sole-24 Ore», 23 settembre 2007, p. 43)  

 

 

Non è facile studiare la vita e le opere di Indro Montanelli (1999-2001). Sempre pronto a parlare di sé, il principe dei giornalisti si è infatti fabbricato nel corso degli anni una propria biografia ufficiale, alimentandola con infinite rievocazioni. Questo materiale autoreferenziale, ogni volta arricchito di nuovi particolari, dopo la sua morte è stato canonizzato da alcuni pseudo-biografi, del tutto a digiuno delle più elementari nozioni di metodologia storiografica e allergici ai faticosi scavi d’archivio. Ora, la nota ricercatrice ticinese Renata Broggini – noncurante delle accuse di “lesa maestà” che immaginava le sarebbero piovute addosso – aggiunge un tassello ai pochi, seri lavori dedicati al giornalista di Fucecchio, concentrandosi sul suo soggiorno in Svizzera, dall’agosto ’44 al maggio ’45 (ma cominciando il 25 luglio del ’43). Per scriverlo, ha lavorato cinque anni con un accanimento straordinario, frequentando decine di archivi pubblici e privati, in Italia e all’estero, e scovando testimoni mai interpellati in precedenza. Le sue pagine hanno la struttura di una mappa satellitare, in grado di focalizzare, per successivi ingrandimenti, aree anche ridottissime. Qualche snodo rimane in parte ancora oscuro, però la Broggini è riuscita a seguire quasi giorno per giorno le vicende del Montanelli “elvetico”, con un’abbondanza incredibile di dettagli inediti (che solo qua e là inceppano la fluidità del racconto). Sullo sfondo, una suggestiva Svizzera, terra d’Asilo, ma anche crocevia dei servizi segreti di mezzo mondo.Montanelli approda nel Canton Ticino il 14 agosto ’44, varcando il confine nel Varesotto con altre quattro persone, in pieno giorno. Era convinto, in cuor suo, di riuscire a rifarsi una verginità antifascista. In effetti, qualche titolo poteva vantarlo: la frequentazione di un paio d’oppositori liberali e alcuni articoli irriverenti, pubblicati sul “Corriere della Sera” dopo il 25 luglio. L’8 settembre, ricercato, s’era dato alla macchia. In novembre, il suo nome era comparso in uno sfogo di Mussolini sul “Corriere” contro sei personaggi che s’erano impegnati “a far dimenticare il loro passato di scrittori e soprattutto di profittatori del fascismo”. A febbraio del ’44, era stato arrestato in una villa sul lago d’Orta, mentre cercava di prendere contatti con il comandante partigiano Filippo Beltrami. Quindi sei mesi di carcere, prima a Gallarate e poi a San Vittore, da cui era stato liberato il 1° agosto. Artefice dell’operazione, il “dottor Ugo”, alias Luca Ostèria, un funzionario dell’Ovra, doppiogiochista dell’ultima ora per crearsi qualche credenziale con gli angloamericani. Sollecitato da amici e parenti di Indro, aveva convinto Theodor Saewecke, capo della Gestapo a Milano e responsabile di San Vittore, a includere il giornalista in un gruppetto di detenuti da scarcerare. Giunto in Ticino, Montanelli prende contatti con vari fuoriusciti italiani, tra cui Filippo Sacchi, suo ex collega al “Corriere”. All’inizio non è accolto malevolmente, come sosterrà sempre. Tutt’altro. Però, il suo ostentato legame con l’ambiguo Ostèria susciterà le prime freddezze di quegli esuli che, diversamente da lui, avevano sulle spalle lustri di carcere e di confino. Indro ne rimarrà piccato e comincerà ad allargare il giro delle proprie frequentazioni. Assai variegate. Da Guglielmo Canevascini, leader storico del socialismo ticinese (che agevolerà il suo trasferimento a Davos, evitandogli il campo di lavoro) a Piero Scanziani, giornalista già direttore del «Fascista svizzero», che mesi dopo lo inviterà nella sua casa di Berna. Da Riccardo Montanelli, un suo cugino medico rifugiato a Davos, ad Aldo Patocchi, direttore del settimanale per famiglie «L’illustrazione Ticinese», che pubblicherà con lo pseudonimo di Calandrino una serie di articoli autobiografici, poi rifusi nel “romanzo” Qui non riposano (settembre 1945): una denuncia della retorica dell’antifascismo e quasi un manifesto ante litteram del qualunquismo. Onde feroci polemiche, che scaveranno un incolmabile fossato fra Montanelli e i fuoriusciti, contribuendo al suo-antifascismo negli anni a venire. Carte alla mano, la Broggini non si mostra tenera nei confronti del suo protagonista, individuando molti punti deboli nella “vulgata” che egli stesso ha contribuito a diffondere. Il suo tentativo di aggregarsi alla Resistenza è stato goffo. L’arresto sul lago d’Orta ha avuto origine da una sua leggerezza, che ha coinvolto la moglie Maggie e pure colui che lo ospitava, Mario Motta (poi ucciso dai fascisti).Nel carcere di Gallarate non è mai stato condannato a morte dai Tedeschi. Negli archivi fascisti non esiste alcun dossier a lui intestato. Essenziale è stato il ruolo del generale Graziani nell’alleggerire la sua situazione in prigione: anche senza Ostèria sarebbe stato liberato, per di più con la moglie. Scappando, viceversa, l’ha abbandonato alla sua morte. Molti fuoriusciti l’hanno aiutato in Svizzera. A Davos non se la passava tanto male. Il 29 aprile del ’45 era a Berna, non a Milano, clandestinamente, per vedere il duce e la Petacci appesi per i piedi a piazzale Loreto. E via dicendo. Per tutta la vita, insomma, conclude la Broggini, Montanelli ha raccontato a modo suo il periodo svizzero, facendo sì che l’arresto, il carcere e l’esilio acquistassero rispettivamente una mitica aura di militanza antifascista, di condanna a morte e di messa al bando da parte dei fuoriusciti.Come giudicare le affabulazioni e anche le omissioni montanelliane? Probabilmente occorre distinguere. Non c’è da scandalizzarsi per quelle che nascono nel periodo ’43-’45. È un biennio durissimo, c’è il carcere, si rischia la pelle, occorre ingegnarsi anche per mangiare. Non sorprende dunque che Montanelli abbia raccontato delle frottole per trarsi d’impaccio nei momenti di difficoltà (ad esempio, entrando in Svizzera). Meno comprensibile è il motivo per cui abbia insistito pervicacemente nel dopoguerra, anche su particolari tutto sommato irrilevanti. Qui si entra nelle questioni di carattere, nella preferenza per il “verosimile” rispetto al “vero” (se più gustoso) e anche nel protagonismo di Montanelli, che non perde occasione per sostenere «io c’ero» a ogni appuntamento importante con la Storia. Ne sapeva qualcosa il burbero Sacchi se nell’ottobre ’44 aveva così commentato le vanterie del giovane collega: “Incorreggibile Indro!”P.S. Stupisce l’autolesionismo della casa editrice che, in un libro del genere, ha voluto omettere l’indice dei nomi.

Ultimo aggiornamento ( mercoledì 26 settembre 2007 )
 
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