Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
Lo spread ai tempi della Rsi si decideva in via Grazie, a Brescia PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
venerdì 19 ottobre 2012
Mettiamola così. Gran parte delle decisioni sui trasferimenti dell'oro della Banca d'Italia in Germania negli anni 1943-1944 furono prese in un prestigioso palazzo di via della Grazie in città, sede del Ministero delle Finanze della Repubblica Sociale italiana guidato da Domenico Pellegrini-Giampietro. L'intricata vicende prende le mosse nel 1943, tra i mesi di luglio e settembre. La caduta del regime e l'instaurazione del governo Badoglio spinge quattro personaggi a reclamare l'oro della Banca d'Italia: le SS di Himmler tramite Herbert Kappler a Roma; Hermann Goering a Berlino per far funzionare il piano quadriennale tedesco; l'ambasciatore tedesco Rudolf von Rahn e la Deutsche Reichsbank con il presidente Walther Funk (succeduto a Hajalmar Schacht), tramite il suo rappresentante Maximilian Bernhuber, agente militarizzato della Reichsbank e plenipotenziario di Hitler.

La volontà predatoria trova forti contrasti sia nello stesso Rahn che giudica politicamente controproducente la requisizione dell'oro della Banca d'Italia in un momento assai delicato per la situazione italiana, sia da parte di Badoglio che consiglia il governatore Vincenzo Azzolini a spostare l'oro verso la Svizzera per garantirne maggiore sicurezza, un consiglio che Azzolini già aveva ricevuto nel febbraio del 1943 dal ministro delle finanze del regime Giacomo Acerbo. Il governatore si oppose facendo presente che l'eventuale arrivo degli Alleati a Roma avrebbe garantito la sicurezza delle riserve senza onerosi e insicuri spostamenti.La fine del governo Badoglio, Roma «città aperta», l'8 settembre, la nascita della Repubblica sociale italiana e la formazione del governo Bonomi complicarono la situazione. Il 20 settembre, pochi giorni prima della costituzione della RSI, i tedeschi ritornano alla carica per l'oro e il 22 Bernhuber incontra Azzolini a Roma imponendogli il trasferimento di 119 tonnellate d'oro a Milano. Trasferimento che avviene tra il 22 e il 28 dello stesso mese. A questo punto interviene il nuovo ministro delle finanze di Salò che vorrebbe imporre il trasferimento al Nord di tutta la dirigenza della Banca d'Italia. Ancora una volta Azzolini si oppone ricevendo una telefonata di fuoco da Pellegrini-Giampietro il 13 dicembre 1943: «Su ci sono anche cose molto importanti da fare ma se voi fate il governatore a Roma, il Duce capo del Governo a.., io a Brescia, non si conclude nulla». A questo punto Azzolini è costretto a trasferirsi a Moltrasio, sul lago di Como, dove vi è la nuova sede della Banca d'Italia, mentre a Roma rimane la parte amministrativa, mentre l'oro da Milano prende la strada di Fortezza. Il 5 gennaio 1944 è a Brescia per la riunione del Comitato dei ministri che sovrintende all'ordinamento del credito e il 7 a Fasano per incontrasi con Rahn, nella sede dell'ambasciata tedesca nella Rsi. Il motivo del viaggio sul lago di Garda è relativo alla restituzione di circa 23,4 tonnellate d'oro alla banca dei Regolamenti internazionali di Ginevra e alla Banca nazionale Svizzera, per prestiti ricevuti nel 1940, che i tedeschi volevano accaparrarsi ma che Rahn decide di restituire per evitare che il credito internazionale dei tedeschi venisse meno. Azzolini, però, rimane all'oscuro di quanto andava decidendosi nelle munitissime stanze del palazzo di via delle Grazie a Brescia e che si trasformerà negli accordi di Fasano del 5 febbraio 1944, firmati oltre che da Rahn, da Serafini Mazzolini, segretario generale del Ministero degli Esteri di Salò e da Domenico Pellegrini-Giampietro.Il governatore (ancora per poco perché sarà dimesso nel giugno del 1944) verrà a sapere dell'accordo dal solito Bernhuber e, in seguito, da una fredda lettera del ministro che gli invia il testo il 25 febbraio. L'accordo prevedeva l'invio di 50 tonnellate d'oro comprese quelle sottratte alla Banca nazionale della Jugoslavia nel 1941 e trasportate dal Cattaro a Roma da Licio Gelli, doppiogiochista tra il fascismo e il Counter Intelligence Corps americano. Quando Tito chiederà la restituzione di quell'oro, nel 1947, esso risulterà dimezzato.Un secondo invio, sempre su sollecitazione del ministro delle Finanze, fu effettuato in aprile, per circa 20 tonnellate e un terzo invio, nell'ottobre 1944 interessò altre venti tonnellate, ma questa volta non fu Azzolini ad autorizzarlo, perché esonerato dalla carica di governatore, bensì il Commissario per l'Alta Italia l'avv. Giovanni Orgera, mentre per il Sud era stato nominato Commissario il vice direttore generale Nicolò Introna.È da notare che fu un'operazione al di fuori di ogni legalità poiché l'oro apparteneva ad un'istituzione privata non appartenente alla Rsi, sanata da un maldestro decreto retrodatato al 25 gennaio 1944 nel quale l'uso delle riserve auree dell'Istituto di emissione era riservato esclusivamente allo Stato.L'oro venne in seguito restituito dagli Alleati alla fine della guerra, ma con procedure molto faticose, da parte della Commissione Tripartita per alcune tranches che riguardavano l'oro jugoslavo e quello "svizzero". Come è noto fu la Svizzera ad essere nel mirino dei vincitori del conflitto. La sua posizione si chiuse, ma ancora non definitivamente, nel 1997 con i risultati della Commissione Bergier che tentò di ammorbidirne le colpe. La ferita, però, rimane ancora aperta. A questo punto non resta che da chiedersi che fine fecero Azzolini, Pellegrini-Giampietro e Orgera. Azzolini fu processato nel l'ottobre 1944, condannato a trent'anni di carcere dopo aver rischiato la pena di morte come collaborazionista e amnistiato da Togliatti. Stessa sorte toccò a Domenico Pellegrini-Giampietro, condannato a trent'anni nell'agosto del 1945. Evaso dal carcere, fu anch'egli amnistiato nel 1946 e, incredibilmente, dietro suo ricorso alla Corte di Cassazione assolto dall'accusa di collaborazionismo nonostante, tra l'altro, avesse messo a disposizione di Mussolini, il 29 marzo 1945, quasi 80 miliardi di lire, ritirati da alcune banche. Tra il 1946 e 1947 partecipò, con Orgera, alla ricostituzione del Movimento sociale italiano per poi prendere la strada, con Gelli e Umberto Ortolani, del Sudamerica e più precisamente di Montevideo dove fondò il Banco del Lavoro Italo-Americano. Quando si dicono le coincidenze.

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MAURIZIO PEGRARI, pagina 09, 18 ottobre 2012, Corriere della Sera

 

 
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